Una rivolta in carcere a Natal in Brasile (foto LaPresse)

I morti ammazzati nelle carceri brasiliane c'entrano con il commercio della coca

Maurizio Stefanini

Regolamenti di conti negli istituti penitenziari e 130 morti in due settimane. Qual è il ruolo dell’accordo di pace nella vicina Colombia, e perché le violenze potrebbero essere solo all’inizio

“Qui è il crimine organizzato/ sta tutto monitorato/ stretto agli alleati/ rappresento il nostro Stato”. Questo “Funk da Familia di Norte” è rimbalzato sui social network da quando sono iniziate le stragi carcerarie in Brasile. Questo rap è diventato la parola d’ordine con cui la mattina del 2 gennaio, nel Complesso Penitenziario Anísio Jobim di Manaus, stato di Amazonas, i detenuti appartenenti alla Familia del Norte, in nome dell’alleanza con il Comando Vermelho hanno prima preso in ostaggio 12 agenti, poi si sono scatenati nella mattanza degli aderenti al Primeiro Comando da Capital (Pcc). Tutti e tre i gruppi, Familia del Norte, Comando Vermalho e Primeiro Comando da Capital, sono potenti organizzazioni di narcotrafficanti che operano in Brasile e che hanno nelle carceri una delle loro principali centrali operative e fonti di reclutamento.


“Decretato il potere/ l’ordine di dirò/ il Comando è uno solo/ è stato battuto il martello/ per fottere i Pcc”, continuava la canzone. Quando dopo 15 ore le autorità hanno ristabilito l’ordine, hanno trovato 60 cadaveri. Gran parte di questi erano squartati e decapitati: un Grand Guignol rivendicato dal rap. “Era tutto dominato/ la galera nelle nostre mani/ e i detenuti tutti decapitati/ nel quadro del carcere”.

Erano passati cinque giorni, e la mattina dell’Epifania i Pcc hanno risposto uccidendo a loro volta 33 rivali nel Penitenziario Agricolo Monte Cristo di Boa Vista, sempre in Amazzonia, ma nello stato di Roraima. Anche qui, ci sono state decapitazioni e squartamenti. “Sono un po’ duro al riguardo, sono figlio di un poliziotto. Dovrebbero uccidersi di più. Dovrebbe esserci un massacro a settimana”, è stato il giorno dopo il commento di Bruno Moreira Santos, segretario alla Gioventù del governo Temer.


Non aveva fatto in tempo a dimettersi per il soprassalto di indignazione che ne è seguito, e la mattina dell’8 gennaio altri 5 cadaveri sono stati trovati nel Carcere Pubblico Raimundo Vidal Pessoa, altro istituto penitenziario di Manaus. Tre erano decapitati e, di nuovo, la responsabilità sarebbe della Familia del Norte.


Criticato per la lentezza nel rispondere, il presidente Temer ha allora inviato in sette stati i rinforzi della Força Nacional de Segurança Pública, una unità di élite composta da poliziotti, vigili del fuoco e periti provenienti dai vari stati brasiliani. In particolare, 100 uomini sono stati mandati nell’Amazonas e altri 100 nel Roraima. Ma il pomeriggio di sabato 14 gennaio, una nuova battaglia tra bande rivali si è scatenata nel Penitenciaría Alcaçuz, un istituto carcerario del Rio Grande di Norte, dove 1.083 detenuti sono rinchiusi in una struttura da 620 posti. Anche all’Anísio Jobim c’erano 2.230 detenuti in una struttura da 590 posti, e in generale il Brasile costringe 622.000 detenuti, quarta popolazione carceraria mondiale dopo quella di Stati Uniti, Cina e Russia, in un sistema carcerario la cui capienza è di 371.844 posti.


Secondo la ricostruzione fatta dalla polizia – le autorità sono riuscite a recuperare il controllo del carcere con l’impiego di veicoli blindati solo 14 ore dopo l’inizio delle violenze – sarebbero stati i Pcc a invadere un padiglione dove si trovavano uomini del Sindicato do Crime, altro alleato locale del Comando Vermelho. Il bilancio finale è stato di 27 morti, il che porta il totale a ben 130 vittime nelle prime due settimane del 2017.


La rivalità tra i clan è motivata, innanzitutto, dalle origini delle due bande: il Pcc, che ha 20.000 aderenti, è basato a San Paolo, mentre il Comando Vermelho, con 50.000 adepti, è stato fondato a Rio de Janeiro. Tutte e due le bande si sono formate in carcere, ma la più antica è il Pcc, creato nel 1969 da guerriglieri in lotta contro il regime militare. Prima della transizione alla democrazia, questo gruppo originario arruolò criminali comuni per poi finirne fagocitato a sua volta. A quel punto sono stati altri delinquenti comuni che nel 1993 hanno copiato il modello, organizzandosi nel Comando Vermelho. Dopo la transizione democratica, alcuni detenuti sono stati liberati e sono tornati alla vita politica, al punto che l’ex guerrigliera e rapinatrice di banche Dilma Rousseff è stata eletta presidente della Repubblica, nelle cui vesti ha ordinato dure operazioni di repulisti nelle favelas sotto il controllo di Pcc e Cv.


Benché rivali, i due gruppi avevano raggiunto una tregua per far fronte comune all’offensiva dei governi di Lula e Dilma per ripulire le grandi città dalle gang in occasione dei Mondiali e delle Olimpiadi. Ma la scorsa estate la tregua è stata rotta e la guerra è esplosa all’inizio dell’anno. Il fatto che si combatta in Amazzonia è considerato dagli analisti un segnale decisivo, dato che lì, attraverso 17.000 chilometri di frontiera quanto mai porosa, passa la rotta della coca alternativa a quella del cosiddetto Narcosur, lungo la quale viaggia quella che va negli Stati Uniti, seguendo l’asse Colombia-Messico-Caraibi.


L’offerta di coca in Sudamerica è aumentata del 30-40 per cento da quando il governo colombiano ha smesso di fumigare le coltivazioni in seguito alla nuova politica anti narcos concordata nel Trattato di Pace con le Farc. Pcc e Cv scommettono forse che il processo di pace porterà ad aumenti ulteriori, e una delle teorie più plausibili che giustifica questo aumento di violenza nelle carceri riguarda proprio le nuove possibilità aperte per il commercio della droga: potrebbe aprirsi una nuova rotta del narcotraffico che passa per il Brasile, e le violente gang locali si muovono in anticipo per approfittarne.

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