UYna scena dal film "La spia che venne dal freddo", film del 1965 diretto da Martin Ritt

La storia delle spiate tra Mosca e Londra fa sembrare Steele un dilettante

Anna Zafesova

L’ombra dello spionaggio russo continua a perseguitare gli inglesi

Milano. Sono passati più di 70 anni da quando, nel giugno del 1934, Kim Philby si sedette su una panchina del Regent’s Park di Londra accanto a un emissario dell’Nkvd che gli propose di diventare una spia dei sovietici, ma l’ombra dello spionaggio di Mosca continua a perseguitare gli inglesi. L’ultimo scandalo è scoppiato proprio a Cambridge, l’alma mater dei “cinque di Cambridge”, il gruppo di spie capitanato da Philby che è tuttora considerato il maggior successo dell’intelligence russa. Nel dicembre dell’anno scorso, tre eminenti esperti si sono dimessi dal prestigioso Cambridge Intelligence Seminar accusando il gruppo – che si riunisce ogni venerdì al college Corpus Christi ed è guidato da Christopher Andrew, lo storico ufficiale dell’Mi5 – di “inaccettabili influenze dei russi”, ha denunciato uno dei dimissionari, l’ex consigliere della Casa Bianca Stefan Halper (accompagnato nella decisione da pezzi grossi come lo storico Peter Martland e l’ex responsabile dell’Mi6 Sir Richard Dearlove). La mano di Mosca avrebbe preso la forma di una casa editrice digitale che ha finanziato il seminario, Veruscript, fondata da due coniugi di origine russa – i due negano di agire per conto di Putin – e qualcuno sospetta che dietro allo scandalo ci sia una vicenda di rivalità accademiche. Ma la paura della spia russa è tornata nel Regno Unito, e qualcuno si spinge a sospettare che prima della “operazione Trump” ci sia stata quella della Brexit, citando a sostegno della tesi un trattato a firma di Alexandr Dughin, nazionalista “geopolitico” rimasto per un periodo consigliere di Putin, che già qualche anno fa teorizzava la necessità di “staccare la Gran Bretagna dal resto d’Europa”.

Saranno paranoie, ma il governo di Theresa May ha riunito a porte chiuse gli esperti per discutere la minaccia spionistica russa, e da una decina d’anni l’Mi5 ricorda regolarmente che “il numero degli agenti russi nel Regno Unito è tornato ai livelli della Guerra fredda”. Secondo l’esperto di intelligence russa Andrey Soldatov, l’ha perfino superato, con tre agenzie diverse – lo spionaggio estero Svr, l’Fsb (l’ex Kgb) e lo spionaggio militare Gru – e decine di operativi, tra britannici reclutati, russi sotto copertura diplomatica e collaboratori della diaspora del “Londongrad”. Tra gli obiettivi strategici, non solo i classici segreti militari e diplomatici, ma anche le tecnologie e i dossier commerciali, i top manager delle multinazionali e i potenziali opinion maker, come gli esperti di Cambridge. Del resto, il rapporto tra l’Mi5 e il Kgb è sempre stato intenso non solo nei film di James Bond, e gli scambi di decine di agenti espulsi erano all’ordine del giorno, anche se il record del 1971, 105 diplomatici cacciati, resta imbattuto. Pedine nella guerra delle spie, con Mosca e Londra che entrambe puntavano a figure strategiche, le talpe che potevano cambiare la storia. Kim Philby, che ha spiato per i russi per 30 anni (ma alla Lubianka non si sono mai tolti il dubbio che facesse il doppio gioco), alla fine ha raggiunto a Mosca i suoi compagni di Cambridge, Guy Burdgess e Donald McLean, in un triste esilio di crisi di vocazione e alcolismo (ma la Corona gli mandò in Russia i suoi mobili Chippendale, perché la proprietà privata è sacra, anche se appartiene a un traditore fuggitivo). Gli altri due componenti dei “cinque di Cambridge”, Anthony Blunt e John Cairncross, hanno patteggiato con la giustizia di Sua Maestà. Con la guerra contro Hitler sono finiti però anche i doppiogiochisti animati dagli ideali del comunismo, e fu l’Mi5 che cominciò a mettere a segno un colpo dietro l’altro. Oleg Penkovsky, che ha cercato i colleghi inglesi di propria volontà, è stato cruciale nel fornire i veri numeri dell’arsenale nucleare sovietico, permettendo a Kennedy di non cadere nel bluff di Krusciov durante la crisi di Cuba. Fu scoperto e fucilato (secondo alcune fonti, bruciato vivo), mentre Oleg Gordievsky, l’altra grande talpa inglese a Mosca, riuscì a fuggire a Londra poco prima della cattura.

Londra è sempre stata la sede più prestigiosa per una spia russa, forse più di Washington, e il grande gioco non è finito con il comunismo. La morte di Alexandr Litvinenko, avvelenato nel 2006 dal polonio in una operazione speciale che lasciato tracce radioattive in mezza Londra, ha contribuito a gelare i rapporti diplomatici tra russi e britannici, che hanno richiesto inutilmente l’estradizione dei sospetti assassini, mentre i tabloid titolavano “I russi uccidono nelle strade inglesi”. Non succedeva dal 1978, quanto il dissidente bulgaro Gheorghy Markov fu assassinato con una capsula di platino con dentro del veleno, iniettatagli nella coscia con un ombrello-siringa mentre aspettava l’autobus sul ponte di Waterloo. Il “sasso” finto e attrezzato con materiali top secret e una ricetrasmittente con il quale l’Fsb beccò a Mosca nel 2006 un giovane “diplomatico” britannico, era più tecnologico, ma meno inquietante. Ma sicuramente la lunga spy story russo-inglese avrà nuove puntate: due anni fa l’Mi5 ha pubblicato un annuncio per reclutare operativi russofoni, dopo anni in cui i più richiesti erano quelli di lingua araba.