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Informazioni, non speculazioni. L'esempio di media e autorità nella tragedia di Berlino

Eugenio Cau

Dagli attentati di Parigi in poi ci siamo abituati al circo di notizie che accompagna gli eventi tragici che colpiscono l’Europa. Quanto accaduto nella capitale tedesca è un'eccezione

Roma. Lunedì sera, mentre il mondo cercava di raccapezzarsi su quello che stava succedendo a Berlino e le redazioni giornalistiche erano in confusione, con notizie non confermate, video e falsi che si diffondevano sui social a gran velocità, le televisioni tedesche, a un’ora dall’accaduto, ancora non avevano quasi dato notizia di quello che poi sarebbe stato definito come l’attentato terroristico al mercatino di Natale di Breitscheidplatz. Le radio erano allo stesso modo quasi silenti. Non c’erano ancora notizie da dare, o quanto meno non c’erano notizie confermate, perché le voci già vorticavano. I morti sono “decine”, l’attentatore è in fuga ed è armato, ci sono “due killer”, è stato invece un incidente, è apparsa una rivendicazione islamista, c’è stato un arresto, ecco l’identità dell’assassino, cliccate qui per scoprirla. Voci incontrollate, falsi certificati, supposizioni prive di fondamento si accumulavano e tutti, giornalisti e non, hanno iniziato a rivolgersi ai media tedeschi e ai canali ufficiali delle autorità per cercare di avere informazioni.

Dagli attentati di Parigi in poi ci siamo abituati al circo di notizie che accompagna gli eventi tragici che colpiscono l’Europa. Le notizie arrivano quasi in diretta, i giornali locali fanno partire dei liveblog aggiornatissimi e pieni di rumors, le “fonti di polizia” diffondono le notizie più disparate, commissari, procuratori, gendarmi, tutti sono pronti a dire la loro, a fornire versioni spesso contrastanti. Da Parigi a Bruxelles a Nizza ci siamo abituati a questo trattamento isterico e spesso poco responsabile delle notizie, ma l’abbiamo giustificato dicendoci che ormai è così che funziona, che se fai news e non arrivi primo è come non arrivare del tutto, che i ranking dei motori di ricerca e il contatore delle condivisioni su Facebook certo non possono aspettare le conferme. Per questo la sorprendente eccezione tedesca è al tempo stesso meravigliosa e frustrante.

C’entrerà anche il divario linguistico, ma lunedì sera il modo in cui le autorità e i media locali hanno gestito le informazioni in un momento di acutissima crisi per tutto il paese è da manuale. Le notizie non sono state battute se non confermate ufficialmente. La politica ha, seppur con qualche eccezione, evitato il turbinìo di dichiarazioni spot, “a caldo” e senza raziocinio che di solito costella questo tipo di eventi. Le forze dell’ordine hanno parlato con una voce sola, che per quanti seguivano dall’estero è stato il meraviglioso account Twitter della polizia di Berlino, il quale fino a notte fonda ha dato notizie chiare, concise, sicure, intervallandole a messaggi di rassicurazione e a informazioni pratiche come i numeri per segnalare i dispersi – in due lingue, tedesco e inglese. Per tutta la notte, il motto è stato: manteniamo la calma, non diffondiamo voci incontrollate, non è il caso di spargere il panico. Sui social media i cittadini e i giornalisti tedeschi hanno perfino redarguito gli inviati americani (che smacco per l’etica del giornalismo anglosassone) perché con le loro interviste a testimoni oculari stavano contribuendo a diffondere speculazioni. Alla fine, in tarda serata, le prime notizie su cui costruire ipotesi sono arrivate dai media polacchi (che nel frattempo avevano intervistato i parenti dell’autista del camion dirottato che è piombato sul mercatino), ma per avere una ricostruzione precisa dei fatti s’è dovuto aspettare fino al mattino – vale a dire il tempo giustamente necessario per fare una ricostruzione precisa. Senza leak, rumor, retroscena.

Era già avvenuto lo stesso per i fatti di Monaco a luglio, anche in questo caso con gran scorno dei giornalisti internazionali, che maledicevano i tedeschi per la loro parsimonia estrema di informazioni. Questo approccio sensibile nei confronti delle notizie costituisce un modus operandi tutto tedesco. E’ diverso per esempio da quello che nelle stesse ore stava mettendo in atto il governo in Turchia, dove la cautela era stata sostituita da censura e coprifuoco, e non è nemmeno, come alcuni vorrebbero, frutto di timore politicamente corretto e multiculturalista: in Francia e Belgio, dove il multuculti è imperante, non c’è la medesima cautela. E’ addestramento e abitudine al fatto che le notizie sensibili vanno trattate come tali, e dunque con riguardo e professionalità, ed è sintomo di un’attenzione generalizzata nella società e nel sistema politico, che si traduce, per esempio, anche nell’estrema attenzione con cui le autorità stanno affrontando il problema della disinformazione e della propaganda alla vigilia delle elezioni dell’anno prossimo. Il governo tedesco ha già messo in guardia più volte sui tentativi di ingerenza russi nel processo informativo, ed è stato il più duro d’occidente nel rispondere al caso delle “fake news” di Facebook. Merkel a novembre ha reagito con determinazione contro il social network, mentre il suo ministro della Giustizia Heiko Maas, da mesi e ancora la settimana scorsa, continua a dire minaccioso che se Facebook non imparerà a trattare le informazioni con la dovuta accortezza ci penseranno i magistrati tedeschi a convincerlo.

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  • Eugenio Cau
  • E’ nato a Bologna, si è laureato in Storia, fa parte della redazione del Foglio a Milano. Ha vissuto un periodo in Messico, dove ha deciso di fare il giornalista. E’ un ottimista tecnologico. Per il Foglio cura Silicio, una newsletter settimanale a tema tech, e il Foglio Innovazione, un inserto mensile in cui si parla di tecnologia e progresso. Ha una passione per la Cina e vorrebbe imparare il mandarino.