Donald Trump (foto LaPresse)

Il clima delle nomine in America

Trump sceglie un “originalista” dell’ambiente contro il consenso verde. Non chiamatelo negazionista. Chi è Scott Pruitt, una delle nomine trasformative in mezzo ad ampi spazi di continuità

New York. Donald Trump aveva dato qualche speranza ai depressi attivisti dell’ambiente quando aveva ammesso che potrebbe esistere “qualche connessione” fra l’attività umana e il riscaldamento del pianeta. L’incontro “estremamente interessante” con Al Gore li aveva ringalluzziti ulteriormente, convincendoli che dietro a questa resipiscenza verde ci fosse l’influente zampino di Ivanka. La nomina di Scott Pruitt a capo dell’Agenzia per la protezione dell’ambiente li ha fatti ricascare dalla sedia.


Scott Pruitt


Pruitt, 48 anni, è il procuratore generale dell’Oklahoma, nonché il magistrato che ha lottato con più zelo per contrastare il Clean Power Act, la regolamentazione delle emissioni di Obama e che, a suo dire, esula dalle prerogative presidenziali. La Corte suprema ha stabilito che la legge andava oltre ciò che è permesso dalla Costituzione. Pruitt diventerà il capo dell’agenzia che con tutte le forze ha tentato di contrastare, se non addirittura di eliminare. Trump dice che la sua Amministrazione “crede fortemente nella protezione ambientale, e Pruitt sarà un potente avvocato di questa missione”, ma i suoi avversari hanno gioco facile nel rappresentarlo come un pericoloso negazionista dei cambiamenti climatici.

“Il dibattito è ben lontano dall’essere concluso” è la sua frase più citata dai giornali liberal per dimostrare la sua affiliazione con gli ambienti dello scetticismo climatico, ma la citazione va presa nel contesto: in quell’articolo, pubblicato a maggio sulla National Review, Pruitt criticava la decisione di un gruppo di procuratori generali democratici di indagare le compagnie energetiche che hanno messo in discussione il consenso sull’origine antropica dei cambiamenti climatici. “Gli scienziati continuano a non essere d’accordo sull’entità del riscaldamento globale e sulla sua connessione con l’attività umana. Il dibattito dovrebbe essere incoraggiato, nelle classi, nei forum pubblici e nella aule del Congresso. Non dovrebbe essere messo sotto silenzio con minacce di inchieste. Il dissenso non è un crimine”, scriveva Pruitt, mostrando che la preoccupazione garantista animava il suo attacco ai colleghi attivisti. Pruitt è un originalista del dibattito ambientale. La sua lotta è diretta contro l’attivismo giudiziario di chi, dalla Casa Bianca in giù, moltiplica regolamentazioni che eccedono le prerogative costituzionali, danneggiando le imprese e demonizzando la parte minoritaria del dibattito scientifico sul clima. Le sue posizioni si accordano bene con la denuncia della “guerra al carbone” lanciata da Trump, che promette di ricreare posti di lavoro nelle miniere della West Virginia e di eliminare i sussidi per le rinnovabili, ma non è per il negazionismo climatico che Pruitt è diventato un idolo polemico della sinistra. E’, piuttosto, perché non aderisce alla politica energetica del Partito democratico. Pruitt è nel novero delle nomine “trasformative” fatte da Trump, assieme a figure come Tom Price (dipartimento della Salute), Betsy DeVos (dipartimento dell’Istruzione) e da ultimo anche Andrew Puzder, il manager dei fast food contrario all’aumento del minimo salariale che diventerà segretario del Lavoro. Altre nomine, invece, sono state fatte sotto il segno della continuità con la tradizione dell’establishment, da James Mattis (segretario della Difesa) a Steve Mnuchin (segretario del Tesoro).