Taylor Swift (foto LaPresse)

Dove non è arrivata Hillary, possono arrivare Taylor Swift e Megyn Kelly

Stefano Pistolini

Il libro della anchorwoman di Fox e la rivincita su Trump

Taylor Swift e Megyn Kelly hanno punti in comune. Incarnano un’America intelligentemente femminista – consapevole, autonoma e potente, eppure, al tempo stesso, ancora in ballo, per ciò che concerne certe tremende questioni che ci vogliono secoli per sovvertire e non s’è ancora finito, e hanno a che vedere col maschilismo, la sottomissione, il riscatto e perfino il risarcimento d’un danno perenne. Taylor è una 27enne cantautrice formatasi nei giri del neocountry ed evolutasi in poderoso emblema della positività femminile in chiave pop, per ciò che canta e come lo canta, ma soprattutto per ciò che incarna, ovvero per la sua straripante immagine in cui confluiscono bellezza, talento, determinazione, indipendenza e una dose di rivendicazione del proprio autonomo splendore. L’America – la maggioranza dell’America – è pazza di lei e una parte minoritaria la detesta, per ciò che rappresenta e per ciò che, con quel suo essere ideale, in un certo senso esclude.

 

  

Megyn Kelly è un’ex avvocatessa 45enne convertitasi con gran successo al videogiornalismo e alla conduzione tv. Anche lei, come Taylor, è ricchissima (20 milioni annui di contratto con la Fox, la Swift con una patrimonio stimato sui 200 milioni di dollari), d’una bellezza assoluta e molto bionda – fattore sul quale sarebbe ipocrita sorvolare, in questo modesto case history. Pur lavorando in una tv accusata di parzialità politica e di gestione personalistica degli spazi da parte di molti host – con relativa soggettività dell’informazione – Megyn si è mantenuta al di sopra di tutti i sospetti perché sa fare bene il proprio lavoro, con serietà, attenzione e classe. Certo, ad abbinarla nuovamente a Taylor Swift c’è quel comune approccio a “emozioni-zero”, il perfezionismo, l’alterità distante, il velo d’estraneità che fa presupporre l’assenza di mandato fiduciario verso il pubblico e uno scetticismo di fondo.

 



Megyn Kelly (foto LaPresse)


 
Adesso la Kelly ha pubblicato un libro, cosa che fa con periodicità, “Settle for More”, dove spara proprio al bersaglio grosso del rapporto tra donne e potere, all’ombra del principale business d’Oltreoceano: la comunicazione. Il libro esce mentre la constatazione che la strada per la Casa Bianca è ancora troppo ripida per una donna, chiude una corsa presidenziale nella quale la Kelly ha giocato un ruolo di primo piano non solo come commentatrice, ma come furente avversaria di Donald Trump nell’ultimo anno di campagna. Le polveri hanno preso fuoco quando il futuro presidente si è sentito minacciato dalle domande e dagli atteggiamenti di Megyn nei suoi confronti, nel corso di un dibattito alla vigilia della primarie. Una conversazione telefonica tra i due non è servita ad appianare la questione, ma ad arroventarla. Donald ha minacciato Megyn di scatenarle contro il suo “meraviglioso account Twitter” e ha fatto pressioni sulla Fox, nella persona del presidente Roger Ailes, per riportare l’anchorwoman a miti consigli. La Kelly ha reagito con una serie di feroci domande pubbliche sui comportamenti di Trump nei confronti delle donne, mentre denunciava alla famiglia Murdoch le pressioni subite da Ailes. Ne è scaturita una guerra senza quartiere, fatta d’intimidazioni, minacce, guardie del corpo per proteggere Megyn e famiglia. Ora, la resta dei conti.

  

In quello che Megyn battezza mestamente “l’anno di Trump”, Donald prende lo scettro. Intanto Roger Ailes s’è dimesso a luglio, dopo le documentate denuncie per molestie sessuali da parte di Gretchen Carlson e altre signore transitate per la Fox. E la Kelly consuma una vendetta feroce: scrive delle avances subite proprio da Ailes, che per tre volte cerca di baciarla, minacciando di rompere il suo contratto in caso di rifiuto. E accomuna ad Ailes l’altro 70enne, Trump, che per anni l’avrebbe blandita con regali spediti al mittente, offerte di vacanze-regalo e favori, in cambio di una “buona stampa”. I particolari in cronaca sono nelle pagine di “Settle For More”, nella ricostruzione d’una politica Usa piegata all’arroganza del potere, al disprezzo della verità, al mercato di anime e corpi. Tante donne dell’informazione avrebbero subito le stesse lusinghe e minacce, sostiene Megyn, e cosa possiamo aspettarci se un uomo del genere va alla Casa Bianca? Un secchio di fango sul ciuffo arancione. Con una curiosità in sospeso: perché quando si reca a New York in viaggio con le amiche, pagando regolarmente i suoi conti e rifiutando qualsiasi facilitazione, la Kelly sceglie di scendere proprio al Soho Trump? E’ la tentazione di stuzzicare lo scimmione, come in un film di Ferreri? Perché il bello è che, pensandoci, si comprende che dove non è arrivata Hillary, donna del Novecento, arriveranno Megyn e Taylor, ragazze attrezzate con l’arsenale per andare fino al touchdown, dove ancora s’illudono di poter arrivare solo quei viziati dei maschi danarosi e prepotenti.