Tony Blair, a destra (foto LaPresse)

Brexit e populismo possono essere fermati così. La versione di Blair

Paola Peduzzi

Alla crisi del liberalismo si risponde con più liberalismo. Il populismo di sinistra non batte quello di destra. La necessità di un “centro muscolare”.

Milano. E’ necessario costruire “un centro muscolare”, dice Tony Blair, è questa la lezione che bisogna apprendere dalla Brexit, dalla vittoria di Donald Trump e dai “movimenti popolari in tutta l’Europa”: “Altrimenti si finisce per credere seriamente che il populismo di sinistra sconfiggerà il populismo di destra. Cosa che assolutamente non farà”. L’ex premier laburista ha deciso di rimettersi in gioco – nell’ultima intervista al New Statesman lo dice in modo chiaro – per trovare la risposta “alla questione più importante dei nostri tempi”: come si rende “giusta ed equa” la globalizzazione? Non vuole creare un partito, non vuole spezzare il Labour, “non sarò in prima linea” sottolinea (nella conversazione con il magazine della sinistra fabiana Blair passa buona parte del suo tempo a smentire “misunderstandings”), “voglio creare uno spazio per il dibattito politico su dove vanno le democrazie occidentali moderne e su dove le forze progressiste devono trovare il loro spazio”. Ci sono tantissime persone “politically homeless”, dice Blair, con un’espressione che mette insieme tutto, solitudine e necessità di un ristoro, e che dà forma a un progetto che sta nel centro, che può ribaltare l’esito della Brexit – l’uscita dall’Ue “può essere fermata” – e che raccoglie già i senzatetto o quelli che non stanno comodissimi a casa loro, come l’ex premier conservatore John Major, aperto alla possibilità di un’offensiva dal centro.

L’ex premier laburista dice che la Brexit “può” essere fermata, ma che non è detto che lo sarà, dipende da che genere di accordo verrà definito tra Londra e Bruxelles. La gente – anche quella che non si sente “homeless” – comprende bene i rischi della Brexit, “continuo a ripeterlo – dice Blair, che in un intervento sulla rivista The New European qualche settimana fa aveva spiegato bene il punto – E’ come decidere di cambiare casa senza aver visto quella nuova”, finché non comprendi che cosa significa lasciare l’Unione europea, “come fai a sapere?”. La sfida però è più ampia della Brexit, riguarda un movimento molto vasto in Europa e in America: Blair dice di non aver mai incontrato Trump, ma la settimana scorsa ha visto il supergenero Jared Kushner, da Cipriani a Manhattan – e il fatto che abbia “provato a rimediare un ruolo” è interamente smentito dal suo staff. L’ex premier è convinto, come Barack Obama, che bisogna lavorare con Trump, “è un nostro obbligo oggi”, e che soprattutto bisogna capire che, al di là delle dichiarazioni più estreme e della postura da showman, la visione su cultura, identità e rapporto con il mondo che il presidente eletto ha proposto non è indifferente a un elettorato più moderato. Però, al contrario di Trump, Blair pensa che la risposta alla frammentazione della globalizzazione non sia un rifiuto, ma un maggior impegno nella costruzione di mercati liberi e società aperte.

La crisi del liberalismo si combatte con più liberalismo, insomma, “se le forze progressiste non si riuniscono in un centro solido, si troveranno fuori dal centro del dibattito su cultura, identità, per non parlare dell’economia, dove saranno sconfitte dal populismo di destra. E se rispondi con un populismo di sinistra, che è dove molti vogliono andare – è lì che è andato il Labour ed è il motivo per cui molti democratici sono convinti che con Bernie Sanders le cose sarebbero andate diversamente – se si va su questo terreno, risulteremo soltanto ancora più sconfitti”. Secondo Blair, la globalizzazione non è come la rappresentano i populisti, che dicono “che è una politica messa in campo dai governi e che va fermata”: la globalizzazione è “una forza guidata dalle persone, dal cambiamento tecnologico, dal modo con cui il mondo si è aperto. Non puoi rovesciarla”. Se penso al mondo in cui è vissuto mio padre, dice Blair, e a quello in cui vivrà mio figlio, “come on!”, c’è molto da festeggiare sul progresso. Non bisogna essere pessimisti sulla condizione umana, conclude l’ex premier laburista, ma organizzare una piattaforma, un movimento, con i social e la tecnologia e dare una casa ai senzatetto. 

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  • Paola Peduzzi
  • Scrive di politica estera, in particolare di politica europea, inglese e americana. Tiene sul Foglio una rubrica, “Cosmopolitics”, che è un esperimento: raccontare la geopolitica come se fosse una storia d'amore - corteggiamenti e separazioni, confessioni e segreti, guerra e pace. Di recente la storia d'amore di cui si è occupata con cadenza settimanale è quella con l'Europa, con la newsletter e la rubrica “EuPorn – Il lato sexy dell'Europa”. Sposata, ha due figli, Anita e Ferrante. @paolapeduzzi