Christophe Guilluy (foto via YouTube)

“La sinistra cool chiama il popolo ‘razzista', arruola tate africane ma vive in un loft al riparo dal multiculti”. Parla Guilluy

Giulio Meotti

Torna a scuotere la Francia con un altro libro-scandalo il cartografo che ha militato in SOS Racisme e che oggi dialoga con il mensile Causeur di Elisabeth Lévy, definito da Libération “il Michel Onfray della geografia”

Christophe Guilluy coltiva il paradosso e lo ama. Due anni fa,  quando il premier Manuel Valls dopo il massacro di Parigi parlò di “apartheid territoriale, sociale, etnica”, tutti i giornali francesi si rivolsero a Guilluy, il cartografo che ha militato in SOS Racisme e che oggi dialoga con il mensile Causeur di Elisabeth Lévy, definito da Libération “il Michel Onfray della geografia”. Guilluy era l’autore di due libri, “Fracture françaises” e “France périphérique”, per cui fu accusato dalla gauche di aver scritto “libri di sinistra a vantaggio della destra”. L’allora presidente, Nicolas Sarkozy, aveva invitato Guilluy all’Eliseo assieme a Gilles Kepel, anche lui autore in questi giorni di un saggio pubblicato da Gallimard, “La Fracture”, in cui accusa la sinistra di aver causato una “frattura” nella società francese tra un “nuovo proletariato di figli di immigrati manipolati contro le classi medie”. Adesso Guilluy torna a scuotere la Francia con un altro libro-scandalo, “Le crépuscule de la France d’en haut” (Flammarion), in cui attacca i “bobos”, i bourgeois-bohème, la nuova upper class metropolitana, i figli del nuovo boom industriale dopo gli hippies, gli yuppies, i buppies e i dinkies. “Si pensava che il bobo fosse un bravo ragazzo, tollerante, aperto, ora si viene a sapere che era un bastardo”, scrive il Monde nel recensire il libro di Guilluy. Il pamphlet, di cui si discute sulla stampa francese da due mesi, attacca “la sinistra progressista, urbana, ricca, giusta, globalizzata”, ma anche “ipocrita” secondo Guilluy, perché “ha invocato una Francia fraterna ma nei fatti ha creato il contrario”. “La figura del ‘bobo’ è la nuova borghesia del XXI secolo”, dice Guilluy al Foglio. “Sono come Steve Jobs, una ‘borghesia cool’ benevola con gli ‘altri’, gli immigrati, le minoranze, gli stranieri, ma che in realtà disprezza le classi popolari. Detiene il potere economico e culturale”.

 

 

Il bobo di Guilluy “vive in città e glorifica la natura, mangia biologico, esalta la diversità culturale e la scuola pubblica ma mette i figli in quella privata. Il bobo denuncia la globalizzazione, ma non ha alcun motivo di metterla in discussione, in quanto ne beneficia. Vive nelle cittadelle urbane che sono la nuova versione delle cittadelle medievali”. “Vicini agli immigrati ma non troppo”, continua Guilluy, “antirazzisti da salotto”. Il bobo vive nel regno dell’“autosegregazione”, dice Guilluy. “Il borghese bohémien dà l’impressione che la nostra società consista solo di ricchi, classe media e poveri immigrati”, ma la seconda “non merita cura perché ritenuta razzista, populista, petainista. Meglio difendere i giovani arabi della cultura suburbana. Così, quando un bobo chiede i servizi di una tata africana, questo ‘sfruttamento del proletariato’ sarà ammantato di ‘interculturalità’. Pasolini in ‘Scritti corsari’ aveva capito l’uso a sinistra delle minoranze e della questione razziale. Il discorso di apertura all’‘altro’ consente alla borghesia di mantenere una posizione di superiorità morale senza compromettere la posizione di classe”. Una Francia dunque dei “due pesi, due misure”, dove “la vecchia signora che vive in periferia ed esprime la sua paura di veder cambiato il proprio ambiente viene trattata come ‘razzista’, mentre il bobo che vive nel loft a Belleville e tiene discorsi ipocriti sul multiculturalismo è lodato nei cieli. E’ l’alleanza fra le minoranze e le élite, soprattutto i musulmani che votano più a sinistra”.

Conclude sarcastico il geografo più controverso di Francia: “I bobo sono protetti dalla globalizzazione e dai conflitti creati dalla società multiculturale, due mali che vengono consegnati alle classi popolari, le masse da rieducare”.

  • Giulio Meotti
  • Giulio Meotti è giornalista de «Il Foglio» dal 2003. È autore di numerosi libri, fra cui Non smetteremo di danzare. Le storie mai raccontate dei martiri di Israele (Premio Capalbio); Hanno ucciso Charlie Hebdo; La fine dell’Europa (Premio Capri); Israele. L’ultimo Stato europeo; Il suicidio della cultura occidentale; La tomba di Dio; Notre Dame brucia; L’Ultimo Papa d’Occidente? e L’Europa senza ebrei.