Angela Merkel (foto LaPresse)

Merkel si fa in 4

Andrea Affaticati

Una studiosa ci spiega perché la cancelliera tedesca pare ora indispensabile. L’asse con Fillon

Milano. “E’ interessante osservare come noi tedeschi ci siamo trasformati da Saulo in Paolo”, ci siamo convertiti, dice al Foglio Ulrike Guérot, studiosa di Europa, ex collaboratrice di Jacques Delors, fondatrice dell’European Democracy Lab a Berlino e titolare della cattedra di studi europei alla Donau Universität di Krems, Austria. La conversione pare forzata, a dire il vero, dal momento che la cancelliera, Angela Merkel, nella conferenza stampa in cui annunciava di volersi candidare per un quarto mandato alla guida del paese respingeva eccessive aspettative: “E’ grottesco pensare che una persona sola possa salvare il mondo”. E poco importa se proprio Barack Obama nella sua ultima visita in veste di presidente degli Stati Uniti a Berlino le ha assegnato più o meno questo ruolo. “E’ vero che non aveva scelta”, dice Guérot, che però giusto come divagazione sul tema si chiede anche: ma che succederebbe alla Germania e anche all’Ue – visto che Bruxelles non è da meno nel tifare per un quarto mandato Merkel – se tutto d’un tratto la Kanzlerin scomparisse, non ci fosse più o semplicemente la salute la dovesse abbandonare?

 

Non c’è alternativa, così pensa il 55 per cento dei tedeschi, e così si pensa anche Bruxelles. Solo che questa mancanza di alternativa, tutt’altro che salutare per la politica di un paese, è stata Merkel stessa a incentivarla, liberandosi negli anni dei possibili eredi percepiti come rivali. Anche Merkel ha dunque contribuito a quello che Guérot chiama il “post party setting”, uno scenario politico dove ormai conta in primo luogo il politico e sempre meno il partito. Ancora più straniante è agli occhi di Guérot il ruolo di Giovanna d’Arco d’Europa contro tutti i populismi già al potere o in procinto di conquistarlo (Austria, Francia e, chi può dirlo, forse anche Italia), che viene assegnato a Merkel e il ruolo di ultimo baluardo dei valori occidentali assegnato alla Germania. Nel suo libro “Warum Europa eine Republik werden muss! – Eine politische Utopie”, (“Perché l’Europa deve diventare una Repubblica! – Un’utopia politica”, ed. Dietz; uno stralcio è stato pubblicato nel numero di luglio da Limes) Guérot constata che “Europa ist kaputt!”, l’Europa si è rotta. “Chi però attribuisce ora alla Germania il ruolo di salvatore dimentica o non vuole vedere che alla crisi nella quale versa l’Ue ha contribuito anche e in modo tutt’altro che secondario la Germania“.

 

I vari Orban, Kaczyniski hanno potuto tornare più forti di prima anche come “reazione contro un’Europa tedesca”. A Guérot non interessa speculare su come possano essere i prossimi quattro anni di mandato Merkel: la stessa cancelliera non dice nulla di certo, ma mette in guardia i suoi dai colpi bassi che potranno arrivare da destra, ma anche da una possibile coalizione rosso-rosso-verde, che va scongiurata. Secondo la studiosa è molto più utile capire il perché della crisi europea. “Il populismo è un problema, vero, ma ce n’è uno ancora più importante” scrive nel libro. E spiega poi: “Il problema sono i partiti che si considerano di centro. Quelli che hanno fatto la politica di questi anni, che non si sono mai sognati di ammettere errori, per esempio sulla politica di austerità, e che per ovviare al calo di elettori hanno fatto le grandi coalizioni”. Un altro problema è dato da consuetudini ormai superate. Per esempio il tandem Berlino e Parigi. Un tandem sul quale ha fatto perno la nascita dell’Europa unita, un tandem che fino a poco tempo fa non solo dettava la direzione, ma che veniva anche accettato come tale. Quello che decidevano Berlino e Parigi andava bene per l’Europa intera. Così non è più. Nel talk show Presseclub che va in onda tutte le domenica a mezzogiorno sul canale pubblico Ard, c’era chi sosteneva che “alla sorella minore, cioè la Germania, è venuto a mancare il fratello maggiore, cioè la Francia”.

 

Un’assenza sottolineata anche da interlocutori, Nicolas Sarkozy prima, François Hollande dopo, sempre più deboli sul piano politico. “A questo si aggiunge la frattura mai sanata del 2005. In quell’anno i francesi e gli olandesi in un referendum dicono di no alla Costituzione Europea. Con quella bocciatura la Francia è come se dicesse no anche al progetto europeo. E’ da quel momento che il tandem comincia a muoversi in modo scoordinato. A iniziare dalla crescita economica. Nel 2003 sia Berlino sia Parigi avevano violato i criteri di Maastricht, ma mentre la Germania grazie alle riforme del cancelliere socialdemocratico Schröder si rimette in carreggiata, la Francia si impantana. Il fatto che François Fillion possa essere il prossimo capo di stato francese la giudicherei non proprio negativa in relazione ai rapporti franco-tedeschi. Fillion mi pare uno capace di accentrare su di sé quell’elettorato centrista che attualmente si sente orfano”. Guardando al futuro: Guérot sposa l’idea di Europa di Jean Monnet, che non pensava a una coalizione di stati ma a un’unione di popoli all’interno di una repubblica dove tutti godono degli stessi diritti. 

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