Le forze speciali irachene entrano a Mosul, nel distretto di Gogjali (foto LaPresse)

In Iraq, con la Brigata Badr

Daniele Raineri
Siamo sul fronte ovest della battaglia per liberare Mosul, in un villaggio tenuto dalla Brigata Badr, il gruppo paramilitare sciita più agguerrito dell’Iraq, e il villaggio dirimpetto è ancora in mano allo Stato islamico.

Dal nostro inviato nel nord dell’Iraq. Siamo sul fronte ovest della battaglia per liberare Mosul, in un villaggio tenuto dalla Brigata Badr, il gruppo paramilitare sciita più agguerrito dell’Iraq, e il villaggio dirimpetto è ancora in mano allo Stato islamico. Gli uomini sono in piedi sui bordi dei tetti e in mancanza di altro spazio pure sui tetti dei camion e dei blindati: osservano i mortai fare fuoco dalle aie, seguono i proiettili da centoventi millimetri descrivere curve invisibili a campanile nell’aria e scoppiare secondi dopo fra le case e in mezzo ai nemici. Alcuni stanno sul crinale di una collina, s’affacciano quasi sulle posizioni dei guerriglieri. E’ quasi sera, le figure dei soldati sui tetti si stagliano contro la luce, si passano i binocoli e fanno il segno della V, finisce un’altra giornata di una campagna rapida, un altro pezzo di territorio è stato liberato in velocità. Il gruppo di case da dove sparano i mortai questa mattina era ancora una postazione dello Stato islamico, adesso è una base avanzata per la Badr e già il suo nome è su tutti i muri. A un certo punto si stacca dall’altro villaggio un camion bomba, tenta di coprire la distanza che corre fra i due schieramenti, salta in aria prima, si vede il fungo di polvere e poi arriva il boom.

 

La Brigata Badr è definita spesso come un “gruppo paramilitare”, ma è meglio organizzata dell’esercito regolare dell’Iraq e ha non meno di diecimila combattenti tosti. Il suo logo ricorda quello del gruppo libanese Hezbollah, di cui ricalca il concetto di essere “uno stato dentro lo stato”. Poiché mercoledì una troupe della Bbc Arabic è stata cacciata dal paese perché ha scritto che la Badr è “iraniana”, allora non si dirà qui che ha fortissimi legami con le Guardie rivoluzionarie iraniane, ma ce li ha. In un punto di ristoro lungo la strada che porta verso il fronte uno dei suoi uomini fa una concione al Foglio in farsi, la lingua dell’Iran, e la conclude così: “Marg bar Israil, marg bar Amrika!”. Morte a Israele, morte all’America. Dietro di lui un paio di cartelloni che sono un programma politico: l’ayatollah al Sistani, che è la figura più riverita dello sciismo iracheno, lo sceicco al Nimr, che è stato condannato a morte e ucciso in prigione dal governo saudita, e la Guida suprema iraniana Ali Khamenei. Sotto c’è una scritta: “Morte ai Saud”, i regnanti dell’Arabia Saudita. Un altro milite poco dopo chiede con sospetto: “Sei americano?”. Durante gli anni della guerra in Iraq dopo il 2003 i gruppi sciiti erano un nemico pericolosissimo dei soldati americani, importavano dall’Iran una trappola esplosiva micidiale anche per i mezzi corazzati conosciuta con la sigla Efp, si vantavano di avere ammazzato più militari americani che al Qaida in Iraq. Ma questa offensiva del 2016 per liberare Mosul richiede uno strano allineamento fra nemici minori (per ora) in Iraq come curdi, americani e gruppi sciiti contro lo Stato islamico.

 

Dopo il camion bomba in cielo arrivano due elicotteri iracheni. Sopra ogni altro segmento del fronte si sentono gli aerei da guerra americani, ma non qui, è probabile che temano di fare un errore nei bombardamenti e che questo possa avere ripercussioni politiche disastrose. La Brigata Badr sfoggia carri armati americani Abrams, Humvee americani color sabbia, e anche i mastodonti antimina Mrap, che hanno un fondo corazzato a forma di V per deflettere la forza delle esplosioni, perché il disprezzo per l’America non è accompagnato da altrettanto disprezzo per i mezzi militari made in Usa. Ci sono anche un paio di individui con radio e divise e senza armi che si distinguono dal resto della truppa: tirando a indovinare potrebbero essere consiglieri militari iraniani, ma non c’è conferma.

 

Il capo della Brigata, il potentissimo Hadi al Ameri, amico del generale iraniano Qassem Suleimani (e alleato del presidente siriano Bashar el Assad) spiega a un pool di giornalisti, tra cui c’è anche il Foglio, che i suoi uomini hanno il compito di conquistare lo spazio tra Mosul e Tal Afar, un’altra città in mano allo Stato islamico, verso il confine siriano. Al Ameri dice che lasceranno un corridoio per i nemici che volessero tentare la fuga verso la Siria, “e se non ne approfitteranno allora li ammazzeremo tutti”. E’ interessante perché questa idea dell’assedio con un lato aperto era stata criticata quando è stata presentata dagli americani, pure con contorno di complottismi. Ora è confermata dal nemico degli americani.

Di più su questi argomenti:
  • Daniele Raineri
  • Di Genova. Nella redazione del Foglio mi occupo soprattutto delle notizie dall'estero. Sono stato corrispondente dal Cairo e da New York. Ho lavorato in Iraq, Siria e altri paesi. Ho studiato arabo in Yemen. Sono stato giornalista embedded con i soldati americani, con l'esercito iracheno, con i paracadutisti italiani e con i ribelli siriani durante la rivoluzione. Segui la pagina Facebook (https://www.facebook.com/news.danieleraineri/)