Il quartier generale della Nato a Bruxelles

La Nato dice che l'Italia rischia grosso

Claudio Cerasa
L’assemblea parlamentare della Nato approva all’unanimità una relazione clamorosa che mette sotto processo le primavere arabe e riconosce che  i flussi migratori sono potenziali veicoli di terrorismo. Dettagli e scenari.

Doveva essere una semplice passerella. Un semplice e innocuo incontro formale tra parlamentari chiamati da ogni parte del mondo a Roma per rappresentare i paesi membri della Nato, i paesi Mediterranei e i paesi del Golfo all’interno di un seminario congiunto organizzato dal gruppo speciale sul Mediterraneo e il medio oriente dell’assemblea parlamentare della Nato (Gsm). Doveva essere un semplice punto della situazione, un freddo focus sullo stato delle minacce terroristiche, e invece, ieri pomeriggio, i 140 parlamentari chiamati a Roma a discutere di Stato islamico e flussi migratori hanno approvato un documento – l’assemblea ha potere consultivo e di indirizzo politico dell’alleanza – che farà rumore: in cui per la prima volta in modo ufficiale e senza giri di parole si sceglie di mettere in evidenza alcune verità politicamente scorrette che toccano da vicino il futuro e la sicurezza del nostro paese. La prima verità contenuta nella relazione riguarda una minaccia che oggi appare concreta e che misteriosamente è stata finora tenuta sotto traccia nel dibattito pubblico. Il gruppo speciale sul Mediterraneo e il medio oriente lo dice senza nascondersi: “Non è possibile escludere che Daesh possa sfruttare il traffico migratorio al fine d’infiltrare proprio personale verso l’Europa. Anzi – prosegue la relazione firmata dal deputato del Pd Andrea Manciulli e approvata ieri all’unanimità  – il rischio di infiltrazioni tra i migranti di elementi legati a formazioni terroristiche e radicali cresce in maniera esponenziale e diventa sempre più probabile a causa della facilità di attraversamento dei confini e dei labili controlli lungo le direttrici”.

 

La relazione non si limita ad ammettere che lo Stato islamico (Daesh) possa infiltrare il suo personale nel traffico migratorio ma riconosce che le rotte più pericolose per l’Europa sono le due che passano direttamente dall’Italia: la rotta mediterranea centrale, percorsa da migranti provenienti dall’intero continente africano, dal medio oriente e dall’Asia, che convergono principalmente in Libia; la rotta mediterranea orientale, che vede nel territorio turco lo snodo principale dei flussi provenienti dal medio oriente, dall’Asia e dal Corno d’Africa in direzione dell’area Schengen, attraverso la Grecia e la penisola balcanica. Attraverso la Libia, leggiamo dal rapporto, lo Stato islamico potrebbe aver già dato vita a una “raffinata pianificazione che mira ad infiltrare personale estremista tramite il vettore navale in previsione di un futuro ed ipotetico impiego che dovrà essere collegato ad una fase ulteriore di reclutamento, organizzazione ed attuazione”. E non solo: “Non può essere escluso che gli stessi possano dedicarsi ad attività di reclutamento/radicalizzazione di altri soggetti in seno a comunità a rischio, ponendo le basi per la creazione di cellule terroristiche home-grown. Peraltro, tale rischio, è ulteriormente alimentato dalla presenza, nei Balcani occidentali, di strutture radicali, criminali e nazionalistiche, che potrebbero agevolare o supportare il movimento di elementi riconducibili alla sfera del terrorismo”.

 

La minaccia a tenaglia che mette l’Italia al centro di un potenziale flusso non solo di migranti ma anche di possibili islamisti radicali risulta più preoccupante se si aggiunge un altro tassello al ragionamento: il problema non è solo la Libia ma è soprattutto la “centralità assunta dai Balcani nella galassia del terrorismo internazionale di matrice islamico-radicale” (centralità che nasce dalla diretta partecipazione in operazioni belliche in Siria e Iraq di numerosi individui di origine balcanica, circa mille, e dal transito di migliaia di foreign fighters su questo territorio).

 

Accanto a questo scenario vi è poi un altro elemento importante che è stato riconosciuto ieri e che è destinato a far discutere. I 140 parlamentari – oltre a mostrare a sorpresa apprezzamento per “l’efficacia dei raid aerei della coalizione internazionale e, più recentemente, dell’aeronautica militare russa, che hanno significativamente ridotto gli introiti dell’organizzazione derivanti dal contrabbando di petrolio causando una forte restrizione della liquidità a disposizione di Al Baghdadi” – hanno riconosciuto che l’attuale disastro del medio oriente, compresa la proliferazione del terrorismo, non è figlio delle guerre combattute dall’occidente. E’ figlio piuttosto di un grande disimpegno dell’occidente (lo stay behind obamiano) di cui le primavere arabe sono state espressione diretta. L’ammissione è sorprendente: “Le nuove crisi derivanti dalle ‘rivoluzioni’ anti regimi in nord Africa e medio oriente hanno aggravato i profili di criticità già esistenti, moltiplicandone gli effetti… In termini di proliferazione dell’estremismo la primavera araba ha offerto ampi margini di opportunità prontamente raccolte, in prima istanza, dai gruppi estremisti endogeni alle singole realtà regionali… Le organizzazioni terroristiche transnazionali meglio strutturate non hanno ignorato le potenzialità di espansione in tali paesi, investendo risorse e pianificando azioni che potessero garantire una progressiva e persistente presenza”. Il processo alle primavere arabe è senza appello e la conclusione del rapporto arriva persino a dimostrare che il fallimento delle “rivoluzioni” ha contribuito non solo a far “proliferare l’estremismo” ma a creare flussi migratori potenzialmente minacciosi. “Il vaso di Pandora scoperchiato con le primavere arabe e la perdurante crisi siro-irachena ha alimentato un fenomeno migratorio, già noto in passato ma che oggi ha assunto proporzioni inquietanti sotto molteplici aspetti, non ultimo quello legato alla proliferazione della minaccia terroristica e della possibile penetrazione in territorio Europeo di estremisti. Sebbene tale aspetto non possa essere sottovalutato come possibile opzione nelle capacità dei gruppi estremisti presenti in Libia, occorre razionalizzarne i contenuti per far emergere l’effettiva minaccia che esso rappresenta”. Come dire, più chiaro di così.

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  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.