Forze irachene e curde manovrano nei dintorni di Mosul per dare l'attacco allo Stato islamico (foto LaPresse)

I due piani dello Stato islamico a Mosul, tra armi chimiche e strategia “underground”

Daniele Raineri
“Stiamo arrivando Ninive” è il motto della campagna sotto il quale gli iracheni fanno sfoggio, per ora, di fraternità in chiave anti Isis.

Erbil, dal nostro inviato. Se Mosul è la capitale di fatto dello Stato islamico, Erbil in questo momento è l’anti capitale, il centro degli sforzi nemici, un bar di “Guerre Stellari” in versione curdo-araba dove il prezzo di una camera di hotel è salito da 30 a 50 dollari nel giro di tre notti causa arrivo dei media internazionali e dove persino i comandanti delle milizie sciite – detestatissimi dai curdi – hanno diritto di ospitalità e ricevono ospiti nelle hall piene di fiori. Qadimun ya Nineveh, “stiamo arrivando Ninive” (Ninive è la regione di Mosul), è il motto della campagna per sradicare lo Stato islamico da Mosul, e sotto questo motto gli iracheni – che a fine aprile si sono sparati addosso, milizie sciite contro curdi, pure con qualche morto, a un’ora di auto da qui – fanno sfoggio, per ora, di fraternità in chiave anti Isis. Filoiraniani, filoamericani, nazionalisti, separatisti curdi: ormai l’operazione è cominciata, vige una sospensione dell’inimicizia e conta l’efficienza contro il nemico.

 

Lo Stato islamico ha in serbo due piani per reagire all’assalto contro Mosul. A breve termine, dicono ufficiali americani alla Reuters, potrebbe usare armi chimiche. E’ un’opzione di cui si parla da tempo: il gruppo ha già usato armi chimiche in poche, sporadiche occasioni nei mesi passati. Non è il sarin usato con effetti letali dall’esercito siriano alla periferia di Damasco nel 2013, ma è il cosiddetto “gas mostarda” , un agente vescicante molto meno pericoloso e assai più maneggiabile e stabile del sarin – che è impossibile da conservare. Lo Stato islamico ha sparato un colpo di mortaio caricato con il gas mostarda nell’agosto 2015 contro i ribelli siriani nella regione di Aleppo e ha sparato razzi con la stessa sostanza contro i curdi che difendono Sinjar, nel nord dell’Iraq. E’ possibile che conservi il grosso delle scorte come minaccia contro l’approssimarsi dei nemici. Non si è capito bene dove lo abbia preso, ma le armi chimiche erano l’atomica povera del partito Baath e sia Saddam Hussein in Iraq sia Bashar el Assad in Siria ne conservavano scorte in depositi militari che poi sono stati razziati.

 

Il secondo piano dello Stato islamico è a lungo termine. Andare “underground”, tramutarsi di nuovo in quell’entità sfuggente a metà tra l’infestazione mafiosa e il gruppo militare che controllava di fatto Mosul anche prima di conquistarla nel giugno 2014. Questa battaglia per riprendere la città non è che la replica di una battaglia vittoriosa per cacciare lo Stato islamico da Mosul del 2008, perché il loro network è così forte in quella zona che la città è diventata la piattaforma da cui il gruppo estremista risorge dopo un periodo di crisi. Fu così anche nel 2010, quando lo Stato islamico era quasi al collasso. Sarebbe stato il momento per dare il colpo di grazia, dice Michael Knights, un analista americano specializzato in Iraq e molto attento, ma non si fece nulla e 30 mesi dopo il gruppo era di nuovo fortissimo. Tanto che quando nel marzo 2014 il Foglio fece domanda per andare a visitare Mosul e raccontare se la zona era riuscita a vincere lo strapotere dei baghdadisti si sentì rispondere: “Assolutamente impossibile lavorare in città. E’ una no-go area, le forze di sicurezza sono presenti ma le strade sono fuori dal loro controllo”. Lo Stato islamico uccideva in pieno giorno i vigili urbani agli incroci e i soldati ai checkpoint, arruolava informatori, cavava una tassa da imprese e negozianti. Tre mesi dopo i suoi uomini presero la città. Questa seconda battaglia per Mosul dovrebbe avere l’obiettivo di impedire la sopravvivenza anche underground dello Stato islamico, ma del futuro oltre le poche settimane nessuno parla.

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  • Daniele Raineri
  • Di Genova. Nella redazione del Foglio mi occupo soprattutto delle notizie dall'estero. Sono stato corrispondente dal Cairo e da New York. Ho lavorato in Iraq, Siria e altri paesi. Ho studiato arabo in Yemen. Sono stato giornalista embedded con i soldati americani, con l'esercito iracheno, con i paracadutisti italiani e con i ribelli siriani durante la rivoluzione. Segui la pagina Facebook (https://www.facebook.com/news.danieleraineri/)