Missile C-802

C-802 iraniani vs una nave americana nella strettoia yemenita

Daniele Raineri
Gli aerei sauditi fanno strage nella capitale Sana’a, gli Houthi rispondono con lanci di missili balistici. La semidistruzione della Swift è stata importante, perché gli Emirati non hanno altre navi così e ora sono in difficoltà nel portare rifornimenti ai propri soldati impegnati a terra in Yemen.

Roma. Un portavoce del Pentagono ha detto a Reuters che domenica sera qualcuno dalla costa dello Yemen ha lanciato due missili nel giro di un’ora contro una nave della Marina americana che navigava circa venti chilometri al largo. I primi sospettati per questo attacco sono i guerriglieri yemeniti Houthi, appoggiati dall’Iran e appartenenti alla corrente sciita dello zaidismo, ma loro non hanno ancora rivendicato come invece di solito fanno. Forse perché questa volta si tratta di un attacco con missili sofisticati contro una nave da guerra americana. Perdipiù  all’interno di un braccio di mare strategico, perché è avvenuto tutto all’interno di Bab el Mandab, che – a dirla semplice – è l’imboccatura del canale di Suez per le navi che arrivano dall’oceano Indiano.

 

Ci sono molti elementi che spiegano perché i ribelli Houthi sono i primi sospettati dell’attacco, in alleanza con l’Iran. Il primo giorno di ottobre il loro braccio armato, che si chiama Ansar Allah, “I partigiani di Dio”, ha lanciato altri missili contro una nave militare degli Emirati arabi uniti che incrociava nella stessa zona, la Swift. Si trattava di una nave veloce da trasporto costruita nel 2003 per la Marina militare americana e data in leasing agli Emirati nel 2015, con uno scafo in alluminio che è leggero ma è anche vulnerabile e può prendere fuoco, come infatti è successo. Anche se non si conosce il numero preciso delle vittime, a giudicare dalle immagini del relitto è possibile che molti uomini dell’equipaggio – può contarne fino a settanta – siano morti nell’attacco. Nel caso della Swift, i ribelli Houthi hanno trasmesso sul loro canale tv, al Masriha, un filmato che mostra con chiarezza la nave di giorno mentre è seguita nel suo viaggio lungo la costa, e poi l’attacco notturno dalla costa. E’ probabile che qualcuno con un barchino abbia pedinato da vicino la nave per segnalare la sua posizione esatta a chi stava a terra. Il sito di analisi Hi Sutton scrive che i danni allo scafo della Swift mostrano fori d’entrata e d’uscita sulle fiancate come se il missile fosse arrivato filando veloce poco sopra il pelo dell’acqua, e mostrano anche gli effetti prodotti dal carburante del missile non ancora consumato in volo quando è bruciato al momento dell’impatto e quindi dell’esplosione. Inoltre il filmato mostra uno stadio dell’ordigno mentre si stacca dal resto. L’identikit fatto dagli specialisti è quello di un missile antinave C-802 prodotto dalla Cina, che non è in dotazione allo Yemen (quando ancora era uno stato indiviso e non una terra in completa anarchia come ora) ma è in possesso dell’Iran. Lo stesso modello C-802 fu già usato in un altro attacco compiuto da un altro gruppo armato dall’Iran, il libanese Hezbollah, nel luglio 2006 contro una nave militare israeliana.

 

La semidistruzione della Swift è stata importante, perché gli Emirati non hanno altre navi così e ora sono in difficoltà nel portare rifornimenti ai propri soldati impegnati a terra in Yemen. Ma c’è un significato più ampio, e una minaccia strategica più preoccupante: gli iraniani portano missili antinave sulle coste di una strettoia strategica (circa 30 chilometri nel punto meno largo, i C-802 possono attraversarlo per intero) e gli Houthi che controllano circa metà di quella costa non esitano a lanciarli anche contro le navi americane. Ce ne sono tre in zona, arrivate proprio per fare deterrenza dopo l’attacco di undici giorni fa. Invece che calmare la situazione, sono diventate bersagli a loro volta. Gli Houthi avevano già fatto altri quattro attacchi, ma contro obiettivi meno ambiziosi.

 

Lo stretto di Bab al Mandab è un collo di bottiglia dove, secondo i dati del 2015, passano quasi cinque milioni di barili di greggio al giorno, e già soltanto questo lo rende vitale per l’economia del mondo.

 

L’attacco contro la nave americana, che sembra essere fallito grazie alle contromisure di bordo, ma il Pentagono non ha chiarito questo punto, fa parte di una escalation rischiosa della guerra in Yemen. Sabato gli aerei sauditi – che colpiscono in nome di una coalizione di regni sunniti del Golfo, appoggiata da Stati Uniti e Gran Bretagna – hanno bombardato per due volte un funerale di un politico avversario nella capitale Sana’a e hanno ucciso circa 140 persone – ci sono quasi cento feriti gravi e il bilancio potrebbe aumentare. In risposta alla strage, gli Houthi hanno lanciato due missili balistici contro due basi saudite, una in Yemen e una a Taif, nel centro dell’Arabia Saudita: in dodici attacchi di questo tipo, non erano mai arrivati così in profondità. Il bombardamento ha scatenato l’indignazione del paese e potrebbe convincere molti clan yementi a schierarsi per rappresaglia dalla parte degli Houthi e alterare così l’equilibrio dell’intera guerra.

 

Le due bombe di sabato hanno aperto anche una crisi dentro l’Amministrazione Obama, che ora tenta di capire se ci potrebbero essere conseguenze per la vendita di 1,3 miliardi di dollari di armi all’Arabia Saudita nel 2015. Dentro l’Amministrazione alcune voci scettiche sostenevano che i sauditi non sarebbero riusciti a impiegarle con le dovute cautele per minimizzare il rischio di colpire i civili. Il numero di civili morti in questo conflitto in Yemen è arrivato a circa quattromila.

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  • Daniele Raineri
  • Di Genova. Nella redazione del Foglio mi occupo soprattutto delle notizie dall'estero. Sono stato corrispondente dal Cairo e da New York. Ho lavorato in Iraq, Siria e altri paesi. Ho studiato arabo in Yemen. Sono stato giornalista embedded con i soldati americani, con l'esercito iracheno, con i paracadutisti italiani e con i ribelli siriani durante la rivoluzione. Segui la pagina Facebook (https://www.facebook.com/news.danieleraineri/)