A destra il generale Qassem Suleimani, architetto della strategia iraniana in medio oriente, e l'Ayatollah Khamenei, a sinistra

Un generale iraniano spiega la battaglia per riprendere Aleppo est

Daniele Raineri
Metà dei diecimila uomini schierati per Assad in città sono iracheni. E’ una guerra totale “per difendere l’Iran”.

Roma. Mercoledì a Teheran il generale Qassem Suleimani ha parlato durante la cerimonia per ricordare il primo anniversario della morte in Siria di un altro generale iraniano, Hossein Hamadani. Suleimani è considerato il grande tessitore dei piani militari dell’Iran in medio oriente e da un podio piazzato nella penombra affollata di Guardie rivoluzionarie – in una moschea bellissima, tutta blu – ha spiegato perché il paese deve considerare la guerra totale contro i siriani che fanno parte dell’opposizione al presidente Assad come una guerra propria. Per due ragioni, soprattutto: perché la minaccia degli estremisti riguarda anche l’Iran, e se non fossero bloccati in Siria poi “sarebbe il nostro turno, anzi, siamo noi il loro vero obiettivo” (nella retorica iraniana non ci sono distinzioni: tutti i siriani che non vogliono Assad sono estremisti) e perché c’è un antico debito di gratitudine con il presidente e alleato siriano, suo padre Hafez fu l’unico fra i rais arabi ad appoggiare l’Iran nel conflitto decennale contro l’Iraq durante gli anni Ottanta (un conflitto dimenticato, ma che nella regione è ricordato benissimo) e anche perché “la Siria è il solo paese arabo a non avere mai aperto contatti con Israele”.

 

Suleimani è stato definito da Reuters e da giornali russi “l’architetto iraniano delle operazioni russe in Siria”, perché è stato lui a volare a Mosca per tre volte nell’estate 2015 a prendere gli accordi preliminari e stendere i piani che poi a fine settembre hanno portato all’intervento di Mosca a fianco del presidente Assad. E’ stato inserito nella lista delle persone sanzionate dalle Nazioni Unite perché coinvolto nel programma militare atomico ed è anche sulla lista dei terroristi internazionali compilata dagli Stati Uniti perché l’unità militare che comanda, la Brigata Gerusalemme, appoggia gruppi terroristici (come il libanese Hezbollah). Questo non gli impedisce di seguire da vicino le operazioni per prendere Aleppo est, che se in cielo sono di competenza dell’aviazione russa a terra sono a trazione iraniana. Due giorni fa il Wall Street Journal ha pubblicato un articolo sul ruolo dominante che hanno in città i circa cinquemila uomini delle milizie sciite irachene, che da sole sono la metà delle forze assadiste. L’altra metà non è formata soltanto dall’esercito siriano, ma anche da altri gruppi di miliziani stranieri, per esempio profughi afghani attirati nella guerra in Siria con la speranza di essere premiati con un permesso di lavoro in Iran e fazioni di palestinesi pro governo.

 

Dall’altra parte del fronte, dentro Aleppo, ci sono circa ottomila ribelli e novecento uomini di Jabhat Fateh al Sham, erede di Jabhat al Nusra, la divisione siriana di al Qaida. Le forze a terra quasi si equivalgono, ma la potenza di fuoco è tutta a favore di Assad o forse sarebbe meglio dire: di Suleimani. Un sito arabo-iraniano dell’opposizione ha scritto che il presidente Assad un giorno disse del generale iraniano: “Ha un posto nel mio cuore. Se potesse correre alle elezioni mi batterebbe, perché il popolo siriano preferirebbe lui” (del resto, per quanti non varrebbe questa lode?).

 

Il discorso di Suleimani può spiegare perché finora gli approcci diplomatici fra Amministrazione Obama e Russia sono caduti nel vuoto: dall’altra parte non c’è interesse per una soluzione negoziata, si cerca una vittoria definitiva nelle aree più popolate del paese e senz’altro una città di Aleppo condivisa con l’opposizione come negli ultimi quattro anni non fa parte dei piani. Suleimani ha trovato il tempo anche per un paio di colpi contro i detestati rivali sauditi: ha detto che il principe secondo erede al trono, Mohammed bin Salman, è stato a Mosca di recente per incontrare un alto ufficiale siriano (forse Ali Malouk, capo dei servizi segreti, a Mosca il 6 settembre). E che il giovane Mohammed “vorrebbe uccidere il padre per prenderne il posto”.

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  • Daniele Raineri
  • Di Genova. Nella redazione del Foglio mi occupo soprattutto delle notizie dall'estero. Sono stato corrispondente dal Cairo e da New York. Ho lavorato in Iraq, Siria e altri paesi. Ho studiato arabo in Yemen. Sono stato giornalista embedded con i soldati americani, con l'esercito iracheno, con i paracadutisti italiani e con i ribelli siriani durante la rivoluzione. Segui la pagina Facebook (https://www.facebook.com/news.danieleraineri/)