Pedro Sánchez (foto LaPresse)

La guerra tra i socialisti spagnoli la vince Rajoy

Eugenio Cau
Il segretario Sánchez si dimette tra le polemiche e lascia li posto ai ribelli socialisti che vogliono favorire la governabilità. Lo storico partito della sinistra spagnola in ginocchio.

Pedro Sánchez, il segretario generale del Partito socialista spagnolo, si è dimesso sabato sera dopo oltre dieci ore di discussioni accese, proteste di piazza e accuse di violenze reciproche che hanno fatto assomigliare le intemperanze dentro al Labour inglese come una contesa tra gentiluomini. Sánchez si è dimesso dopo che i membri del comitato federale del Psoe, uno degli organi di governo dentro al partito, hanno votato 132 a 107 una mozione contraria alla proposta di celebrare un congresso straordinario, proposta alla quale Sánchez aveva vincolato il suo mandato. La crisi per Sánchez era iniziata mercoledì notte, quando oltre la metà dei membri della Commissione esecutiva federale, un altro organo centrale del Partito, avevano rassegnato le loro dimissioni in polemica contro il segretario.

 

La divisione tra i socialisti, che si è andata inasprendo in quest'ultimo anno di paralisi politica per la Spagna, riguarda il sostegno o meno alla formazione di un governo di minoranza di Mariano Rajoy, leader del Partito popolare e premier facente funzioni, unico modo per evitare che il paese torni a elezioni per la terza volta in un anno. Con un'opposizione inamovibile, Sánchez si è sempre messo di traverso alla formazione di un governo Rajoy, trasformandosi di fatto nel maggiore, se non unico, ostacolo a una risoluzione della crisi, e provocando così la rivolta interna nel Psoe.

 

La riunione del comitato federale di sabato è stata burrascosa, e nel pomeriggio si sono sfiorate le violenze quando Sánchez e i suoi hanno fatto installare delle urne per effettuare un voto segreto. Alla fine, il voto è avvenuto per alzata di mano, e Sánchez è stato costretto alla sconfitta, mentre fuori dal palazzo di calle Ferraz, sede centrale del partito a Madrid, la polizia in assetto antisommossa tratteneva i manifestanti dell'una e dell'altra parte.

 



 

Mentre Sánchez ammetteva la sconfitta e si diceva "orgoglioso" di aver condotto il Psoe, il primo fuori dal partito a commentare le dimissioni è stato Pablo Iglesias, leader del movimento antisistema Podemos, che su Twitter ha commentato che questa è la vittoria dei "favorevoli a dare il governo al Partito popolare". Adesso il Psoe sarà guidato fino al congresso da un garante, ma il vero dominatore sarà la sezione andalusa del partito, anima della rivolta, e soprattutto la potente governatrice andalusa Susana Díaz, che da mesi si dice nemmeno tanto velatamente favorevole a lasciar governare Rajoy.

 

Non è un Nazareno spagnolo, ma per ora dentro al Partito socialista ha vinto la linea della ragionevolezza e della stabilità. E' facile immaginare che Podemos approfitterà elettoralmente e non solo dello sbriciolamento del principale partito del centrosinistra, per il quale il futuro resta incerto – in molti commentavano durante la discussione a Ferraz che adesso il destino del Psoe è quello del Pasok greco, e non è da escludere una scissione.

 

Ma il vero vincitore della partita è Mariano Rajoy, che giocando bene le sue carte – i prossimi giorni saranno fondamentali – potrebbe avere la strada spianata verso il governo. A meno che, come sostengono alcuni commentatori maliziosi, anche Rajoy abbia deciso che, con il nemico di sempre in ginocchio, potrebbe esserci la possibilità di capitalizzare la vittoria con nuove elezioni.

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  • Eugenio Cau
  • E’ nato a Bologna, si è laureato in Storia, fa parte della redazione del Foglio a Milano. Ha vissuto un periodo in Messico, dove ha deciso di fare il giornalista. E’ un ottimista tecnologico. Per il Foglio cura Silicio, una newsletter settimanale a tema tech, e il Foglio Innovazione, un inserto mensile in cui si parla di tecnologia e progresso. Ha una passione per la Cina e vorrebbe imparare il mandarino.