Reazioni sorprendenti al corbynismo
Jeremy Corbyn ha chiuso ieri la conferenza del Labour britannico con un inno contro la diseguaglianza “grande scandalo dei nostri tempi”. Nulla di nuovo, Corbyn è quel che è sempre stato, ha riconfermato la sua leadership del partito ma non ha proposto grandi novità, non è riuscito nell’intento di unire il partito (si parla di “scisma” ormai con insistenza) e non ha trovato una via comune per intercettare il voto della Brexit. In questi giorni piuttosto mesti a Liverpool (ah, è di nuovo scoppiata la crisi sull’antisemitismo: rischia il posto la vicepresidente di Momentum, il gruppo di attivisti corbyniani, che già era stata precedentemente sospesa e riammessa), è però accaduto qualcosa di strano o almeno di imprevisto. La radicalizzazione dei toni e dei contenuti voluta da Corbyn e dai suoi sta tirando fuori rigurgiti di liberalismo insospettati.
Tom Watson, che di Corbyn sarebbe il vice ma che i vignettisti rappresentano come un’Angelina pelosa e infuriata, ha tenuto un discorso sorprendente alla conferenza, difendendo il blairismo e dichiarando che il capitalismo non è peccato e che fare a pezzi ogni istinto di riforma non è affatto produttivo. Nella mappa del Labour pre Corbyn, Watson non si sarebbe mai posizionato in questo modo. Eppure. Anche Sadiq Khan, che era alleato di Ed Miliband e quindi di una corrente di pensiero non strettamente liberale, ha parlato di ottimismo e possibilità, ha ripetuto la parola “potere” 38 volte, quando a Corbyn ha riservato un’unica, misera citazione. Khan è sempre più lanciato nel Labour, Watson vive invece una convivenza difficile, ma entrambi rappresentano l’effetto indesiderato del corbynismo: se lui è l’alternativa, siamo tutti (più) liberali.
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