Giordania, la sede dell'intelligence (foto LaPresse)

Ecco perché con l'omicidio del vignettista "blasfemo" i nodi vengono al pettine in Giordania

Davide Vannucci

Parla il giornalista Osama al Sharif: “Gli sforzi della monarchia per disinnescare la minaccia salafita sinora sono stati carenti”.

L’accusa di blasfemia ha fatto un’altra vittima nel mondo arabo, questa volta in Giordania. Nahed Hattar, 56 anni, scrittore, giornalista, ateo, anche se di origine cristiana, ad agosto era rimasto in carcere quindici giorni, dopo avere pubblicato su Facebook una vignetta che ritraeva un uomo barbuto a letto con due donne, mentre fuma e chiede a Dio di portargli un drink. Ieri, davanti al tribunale dove si sarebbe dovuto tenere il processo, un estremista gli ha sparato tre colpi di pistola e lo ha ucciso. Secondo Osama al Sharif, giornalista di stanza ad Amman, commentatore per varie testate regionali, il delitto non fa altro che confermare l’espansione del jihad nel regno hashemita, considerato sinora uno dei pochi pilastri di relativa stabilità della regione: “Il fatto che un radicale salafita abbia assassinato un intellettuale cristiano accusato di avere offeso l’islam dimostra come l’estremismo musulmano rappresenti una grande sfida per la Giordania. La strada da fare per contenere il jihad resta molto lunga. La società giordana è piuttosto conservatrice e la guerra nella vicina Siria non può non avere un impatto destabilizzante”.

 


La vignetta di Nahed Hattar postata su Facebook


 

Nel regno chi è accusato di blasfemia rischia fino a un anno di prigione. Dopo l’episodio incriminato Hattar si era scusato, sostenendo che la sua intenzione era quella di prendere in giro non l’islam, ma l’Isis e il suo concetto di paradiso. La spiegazione, però, non aveva soddisfatto a pieno gli islamisti e allo scrittore erano arrivate più di cento minacce di morte. Il cugino Saif adesso accusa il governo di non essere riuscito a proteggerlo adeguatamente. “Gli sforzi della monarchia per disinnescare la minaccia jihadista”, prosegue al Sharif, “sinora sono stati carenti. Sono stati presi alcuni provvedimenti, ad esempio per limitare la pericolosità dei sermoni del venerdì. Ma il governo è preoccupato soprattutto dell’economia, che è stagnante e deve sopportare l’onere dei 650.000 rifugiati siriani”.

 


Nahed Hattar (immagine di Twitter)


 

La Giordania è un bersaglio ideale per il jihad: la monarchia è alleata degli Stati Uniti, ha firmato più di 20 anni fa un trattato di pace con Israele ed è in prima linea nella lotta allo Stato islamico. Secondo il Soufan Group, un think tank di Washington che monitora costantemente la galassia jihadista, in Siria ci sono più di duemila foreign fighters giordani. La monarchia ha tentato la carta del dialogo, facendo uscire di prigione leader fondamentalisti, come Abu Muhammad al Maqdisi, mentore di Al Zarkawi, ma nemico dello Stato islamico. Ora si è passati al bastone ed è cresciuto il numero dei sudditi accusati di terrorismo.

 

Dopo l’assassinio di ieri alcune organizzazioni giordane, come il Center for Defending Freedom of Journalists, hanno preso di mira il Fronte islamico di azione, braccio politico dei Fratelli musulmani, che ha partecipato martedì scorso alle elezioni per la Camera bassa: “In Giordania”, spiega Osama, “la Fratellanza è rappresentata in Parlamento, ma la situazione è diversa rispetto a quella di Marocco e Tunisia. La relazione con il governo è e resterà tesa. Alle ultime elezioni la monarchia ha cercato di cooptare altre forze islamiste, concorrenti dei Fratelli, in modo da legittimare ulteriormente il suo potere, ma l’operazione non è riuscita. La Muslim Brotherhood Society, riconosciuta ufficialmente dal governo, non ha strappato neanche un seggio. Un altro gruppo scissionista, Zamzam, ha ottenuto due deputati, ma soltanto grazie all’alleanza con alcune tribù”.

 

Anche il risultato della Fratellanza, chiosa l’analista, non è stato dei più brillanti: “Al Fronte islamico di azione sono andati 8 seggi, una quindicina se si considera la sua lista, l’Alleanza nazionale per la riforma. A mio parere si tratta di un esito modesto. Se è vero che le elezioni hanno legittimato il Fronte come partito dotato di sostegno popolare, d’altra parte le previsioni parlavano di una ventina di deputati. Da questo punto di vista la monarchia può sentirsi sollevata. Più in generale, malgrado la nuova legge elettorale, i giordani hanno dimostrato di continuare a votare in base a logiche più tribali che partitiche”.