I campo migranti di Moria, a Lesbo, devastato da un incendio (foto LaPresse)

L'accordo Ue-Turchia sui migranti fallisce nell'incendio di Lesbo

David Carretta
Rilocazione resa impossibile dai giudici (greci e europei) che si sono rifiutati di considerare la Turchia un “paese sicuro”. E centri d’accoglienza sulle isole greche trasformati in prigioni per l’ignavia dell'Ue a sei mesi dal deal.

Bruxelles. Nel momento in cui l’Italia annuncia l’intenzione di fare da sola su immigrazione e rifugiati, il caso della Grecia insegna che un piano tecnicamente perfetto redatto da un gruppo di burocrati e giuristi europei è condannato al fallimento. Lunedì sera, a sei mesi esatti dall’entrata in funzione dell’accordo tra Unione europea e Turchia, il centro di detenzione di Moria sull’isola di Lesbo è andato a fuoco, costringendo le autorità greche a evacuare 4.400 richiedenti asilo. L’origine dell’incendio è ancora da stabilire ma è probabile che, come già accaduto in passato in occasione di mini rivolte o scontri tra comunità etniche diverse, il fuoco sia stato appiccato da un gruppo di migranti. I due terzi del campo sono andati distrutti. “La situazione è sotto controllo”, ha detto una portavoce della Commissione, che continua a sostenere che l’accordo Ue-Turchia “funziona”.

 

Effettivamente finora Ankara ha mantenuto l’impegno di bloccare le partenze lungo le sue coste, nonostante i tentennamenti europei sulla liberalizzazione dei visti. Ma Moria è la dimostrazione di come le isole greche siano state trasformate in prigioni per migranti per l’ignavia di un’Ue incapace di scegliere tra accoglienza e respingimenti. I 4.400 migranti di Moria non possono essere trasferiti sulla terraferma in Grecia né rispediti in Turchia, a causa del sistema burocratico messo in piedi dall’Ue per evitare di violare il principio del non-respingimento. Secondo l’accordo Ue-Turchia, tutti i migranti irregolari arrivati dal 20 marzo in poi – a cominciare dai rifugiati siriani – dovevano essere riaccompagnati nei porti sulla costa turca. Le richieste di asilo dovevano essere analizzate rapidamente e dichiarate irricevibili sulla base del fatto che la Turchia è un “paese terzo sicuro” che fornisce protezione internazionale ai rifugiati. Ankara ha modificato la sua legislazione per i siriani.

 


 

 


 

Ma il meccanismo si è inceppato quando i funzionari e giudici (greci e europei) si sono rifiutati di considerare la Turchia un “paese sicuro”. In sei mesi, solo 502 migranti sono stati rispediti dalla Grecia in Turchia, ma nessun richiedente asilo siriano. Nel frattempo a Lesbo, Chios, Kos, Leros e Samos si sono accumulati 13.500 migranti contro una capacità di accoglienza di 7.500 persone. Sulla terraferma in Grecia ci sarebbero 17 mila posti liberi, secondo i dati dell’Unhcr. Ma Atene è obbligata a tenere i migranti sulle isole. “Per evitare movimenti secondari verso altri paesi europei”, ha spiegato la portavoce della Commissione. All’Italia è stato chiesto di fare la stessa nei suoi “hotspot” in cambio della “relocation”. La Commissione e diversi stati membri insistono affinché gli “hotspot” siano trasformati in centri chiusi o vengano create apposite strutture per evitare che i migranti possano fuggire verso il nord Europa. “Significherebbe trasformare l’Italia in una grande prigione per migranti”, spiega una fonte diplomatica.

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