Il ministro degli Esteri dell'Iran, Mohammad Javad Zarif (foto LaPresse)

Che botta ai sauditi

Daniele Raineri
Conferenza islamica mondiale a Grozny, religiosi sauditi esclusi per colpa del wahabismo estremista

Roma. Ieri il New York Times ha pubblicato un editoriale del ministro degli Esteri iraniano, Mohammad Javad Zarif, contro l’ideologia religiosa dei sauditi: “Liberiamo il mondo dal wahabismo”, era intitolato. Come è ovvio, l’invettiva di Zarif si iscrive nella grande lotta tra i musulmani sciiti (come sono gli iraniani) e i musulmani sunniti (che sono circa il 75 per cento del miliardo e mezzo di musulmani nel mondo), e trascura con nonchalance il fatto che l’Iran ha poco da ergersi a modello: per esempio, proprio ieri il grande ayatollah Khamenei ha emesso una fatwa che proibisce alle donne di andare in bicicletta perché è troppo rivelatorio, provocante e quindi dannoso per l’islam. Insomma, da che minbar, il pulpito della moschea, predica Zarif. Tuttavia, l’editoriale di ieri fa parte di un nuovo clima generale di accuse in crescendo da parte di grande parte del mondo musulmano contro l’islam wahabita, considerato oscurantista, violento, repressivo e inumano (di solito si dice anche: medievale, ma non qui, perché tutto sommato i musulmani nel Medioevo traducevano con curiosità e rispetto i classici greci, meglio attenersi ai problemi contemporanei).

 

Alla fine di agosto duecento religiosi sunniti da tutto il mondo hanno accettato l’invito di un predicatore sufi yemenita a riunirsi in conferenza a Grozny, capitale della Cecenia (che è un protettorato di Putin e ha la moschea più grande d’Europa), per definire meglio il concetto di “Ahl al Sunna wal Jamah”, che in arabo è un’espressione ombrello per indicare tutto il vasto assortimento di fedi che si considerano “sunnite”. In pratica: la conferenza voleva chiarire una volta per tutte cosa è oggi un musulmano sunnita. Tra gli invitati c’erano voci considerate molto importanti, per esempio era presente una delegazione dall’Egitto guidata dall’imam di al Azhar, carica teologica assai rispettata nel mondo musulmano, e c’era pure un rappresentante religioso del governo del presidente egiziano Abdel Fattah al Sisi. C’era anche il Gran Muftì di Siria, che è sunnita ma sta al fianco del presidente Bashar el Assad. Mancava invece una delegazione dell’Arabia Saudita, perché gli organizzatori hanno fatto capire in modo esplicito che i religiosi sauditi e la loro versione wahabita dell’islam non erano i benvenuti. Ad aggiungere un’ingiuria al mancato invito di salafiti e wahabiti a partecipare a un incontro mondiale della comunità religiosa islamica sunnita – come nota Abbas Kadhim sull’Huffington Post –  la conferenza ha infine stabilito che anche i sufi e i fedeli di altre correnti minoritarie sono musulmani, e questa è una cosa che salafiti e wahabiti non ammettono.

 

Per decenni l’Arabia Saudita – il regno che custodisce Mecca e Medina, due dei tre luoghi santi dell’islam – ha considerato naturale essere messa sempre al centro quando si parla di islam sunnita. L’esclusione dalla conferenza è suonata come un affronto dal punto di vista politico (ora c’è parecchio malanimo tra Riad e il Cairo, che tanti benefici ha ricevuto dai sauditi) e come una scomunica dal punto di vista della dottrina religiosa.

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  • Di Genova. Nella redazione del Foglio mi occupo soprattutto delle notizie dall'estero. Sono stato corrispondente dal Cairo e da New York. Ho lavorato in Iraq, Siria e altri paesi. Ho studiato arabo in Yemen. Sono stato giornalista embedded con i soldati americani, con l'esercito iracheno, con i paracadutisti italiani e con i ribelli siriani durante la rivoluzione. Segui la pagina Facebook (https://www.facebook.com/news.danieleraineri/)