Enrique Pena con Donald Trump durante la visita di quest'ultimo in Messico (foto LaPresse)

Il disastro messicano post Trump

Redazione
Dimissioni, proteste e scandali dopo la visita del candidato americano.

Donald Trump non ha ancora costruito il suo muro al confine con il Messico, ma il suo passaggio la scorsa settimana presso il vicino meridionale degli Stati Uniti, dove il candidato  repubblicano alla presidenza ha incontrato il presidente messicano Peña Nieto, ha già lasciato macerie. Mentre in America la visita messicana di Trump non ha suscitato particolari impressioni – specie dopo che il candidato ha abbandonato immediatamente il tono conciliante sul tema dell’immigrazione e che il presidente Peña Nieto ha smentito Trump via Twitter su chi pagherà per il famoso muro –, in Messico l’accoglienza riservata a Trump sta provocando una crisi istituzionale. I messicani non hanno perdonato al loro già impopolare presidente l’aver riservato un’accoglienza da capo di stato all’uomo che li ha definiti ladri e stupratori, e poco importa se è negli interessi del Messico non inimicarsi completamente il possibile presidente americano.

 


Luis Videgaray (foto LaPresse)


 

Mercoledì il ministro delle Finanze Luis Videgaray, accusato dai media di essere stato sostenitore e organizzatore dell’incontro, si è dimesso. Videgaray, oltre che l’architetto della politica economica dinamica del Messico degli ultimi anni, era il braccio destro di Peña Nieto, suo probabile delfino e l’uomo che nel 2013 era apparso insieme al presidente sulla celebre copertina di Time che titolava: “Saving Mexico”. Nel frattempo perfino i media amici hanno messo Peña Nieto sulla graticola e i suoi tassi di gradimento sono ai minimi storici. Trump ha commentato ieri le dimissioni di Videgaray, dicendo che dimostrano “quanto abbiamo fatto bene”. Missione compiuta.

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