Kim Jong-un (foto LaPresse)

E se quello nordcoreano non fosse solo uno show?

Giulia Pompili
Venerdì Pyongyang ha ordinato la quinta, e più potente, detonazione nucleare. E se quelle che si consideravano le ambizioni folli di Kim Jong-un fossero piuttosto parte integrante di un quadro più razionale?

Roma. A soltanto otto mesi dall’ultimo test atomico nordcoreano, Pyongyang ha ordinato venerdì la sua quinta detonazione nucleare. La prova è avvenuta nell’area del sito sotterraneo di Punggye-ri e ha provocato un terremoto artificiale del 5 grado della scala Richter. A giudicare dalle prime rilevazioni tecniche, secondo i funzionari militari sudcoreani si tratterebbe di un’esplosione più potente dei quattro precedenti test atomici, avvenuti nel 2006, nel 2009, nel 2013 e il 6 gennaio di quest’anno. Qualche ora dopo, la televisione di stato di Pyongyang ha annunciato che la Corea del nord avrebbe raggiunto la tecnologia necessaria per miniaturizzare le testate atomiche, ovvero per armare i missili balistici con bombe nucleari.

 

Sin dall’ultima provocazione nordcoreana nel gennaio scorso, i movimenti intorno all’area di Punggye-ri lasciavano presupporre la preparazione di un ulteriore test. E l’intelligence sudcoreana ritiene possibile un altro esperimento atomico a breve. Lee Byung-ho, direttore dei servizi segreti di Seul, ha detto venerdì ai giornalisti che “la miniaturizzazione delle testate atomiche è stata sviluppata più velocemente del previsto”, di fatto non smentendo l’annuncio ufficiale della Corea del nord e ammettendo di avere sottovalutato la capacità di progresso dell’arsenale atomico di Pyongyang. Il quinto test nucleare arriva a ridosso del 68° anniversario della fondazione della Repubblica democratica di Corea (il nome formale della Corea del nord). Ma arriva anche il giorno dopo la chiusura dei lavori del G20 in Cina, alla fine del viaggio di stato del presidente americano Barack Obama in Asia e a pochi giorni da due test missilistici eseguiti con successo dai nordcoreani. Il 24 agosto scorso un missile balistico è stato testato nelle acque intorno alla costa est, ed è caduto nel mar del Giappone dopo circa mille chilometri in volo; l’ultimo lancio balistico c’è stato il 5 settembre, lo stesso giorno in cui il primo ministro italiano Matteo Renzi incontrava la presidente sudcoreana Park Geun-hye in un vertice bilaterale in Cina. Quel giorno, tre missili Rodong sono stati lanciati verso il mar del Giappone senza alcun preavviso.

 

Dopo il test di venerdì, il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite si è riunito d’emergenza, e Obama ha parlato di “nuove misure” contro la Corea del nord, da aggiungere alle già molto forti sanzioni applicate dal gennaio scorso contro il paese asiatico.

 

L’Amministrazione americana avrebbe abbandonato anche l’ipotesi di un documento sul “no first use” nucleare che Obama avrebbe voluto ratificare prima della fine del suo mandato. E intanto, tra i falchi del partito sudcoreano conservatore Saenuri, si ricomincia a parlare della possibilità di dotare di armi atomiche anche la Corea del sud, mentre il Giappone potrà usare la minaccia nordcoreana per accelerare il processo di riforma in senso militare. Solo pochi mesi fa è stata annunciata da Washington e Seul l’istallazione su territorio sudcoreano del sistema antimissilistico Thaad, osteggiato da anni da Russia e Cina perché i suoi radar potrebbero essere usati in chiave anticinese. Del resto, il ruolo di Pechino continua a essere cruciale per la sopravvivenza del regime di Pyongyang. La Cina, pur condannando le ambizioni nucleari, è l’unica a sostenere (indirettamente, ma non troppo) l’economia nordcoreana. Basti pensare che un turista, per raggiungere Pyongyang, deve passare per Pechino – e l’embargo turistico è una delle possibili “nuove misure” in discussione nelle prossime ore.

 

Da anni gli analisti cercano di capire quali siano le reali intenzioni del regime di Pyongyang senza riuscire a trovare una risposta definitiva. La spiegazione della propaganda interna, del sogno dell’ideologia Juche (significa grossomodo “prima l’esercito”) in un contesto di parziale modernizzazione e apertura, soprattutto nelle zone di confine con la Cina, non può più reggere. Fino a qualche tempo fa, e comunque prima della morte di Kim Jong-il nel dicembre del 2011, sembrava che la Corea del nord usasse il proprio arsenale bellico come deterrente ma soprattutto come merce di scambio per ottenere benefici internazionali. Con Kim Jong-un sembra che la strategia sia cambiata, e quelle che vengono considerate “ambizioni folli” – grazie alle quali il leader guadagna consensi facendo credere ai cittadini che la guerra sia imminente – facciano adesso parte di un razionale percorso preparatorio in vista di uno showdown.

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  • Giulia Pompili
  • È nata il 4 luglio. Giornalista del Foglio da più di un decennio, scrive soprattutto di Asia orientale, di Giappone e Coree, di Cina e dei suoi rapporti con il resto del mondo, ma anche di sicurezza, Difesa e politica internazionale. È autrice della newsletter settimanale Katane, la prima in italiano sull’area dell’Indo-Pacifico, e ha scritto tre libri: "Sotto lo stesso cielo. Giappone, Taiwan e Corea, i rivali di Pechino che stanno facendo grande l'Asia", “Al cuore dell’Italia. Come Russia e Cina stanno cercando di conquistare il paese” con Valerio Valentini (entrambi per Mondadori), e “Belli da morire. Il lato oscuro del K-pop” (Rizzoli Lizard). È terzo dan di kendo.