Turchia, il presidente Erdogan durante il Giorno della Vittoria ad Ankara (foto LaPresse)

Erdogan castigatutti

Daniel Mosseri
L’Europa non vede la stretta sulla stampa turca. I giornalisti (non solo gulenisti) in carcere. Una lista.

Berlino. Come scrive il giornalista e scrittore turco Cengiz Candar, il 30 agosto è sempre stato un giorno di festa nel suo paese. Parate militari nelle città, cocktail più o meno alcolici nei circoli ufficiali delle forze armate così come nelle ambasciate turche all’estero, cerimonie commemorative davanti ai monumenti dedicati al fondatore della Turchia moderna, Mustafa Kemal Ataturk, il cui volto appariva ovunque. Orfani dell’Impero ottomano ma guidati da Kemal, il 30 agosto 1922 i turchi sconfissero i greci invasori a Dumlupinar, e la battaglia fu decisiva per la guerra d’indipendenza. “Formalmente è il giorno della vittoria ma in effetti è il giorno delle Forze armate”, osserva Candar. Non lo è stato quest’anno. Un mese e mezzo dopo il tentato golpe militare del 15 luglio, il governo del primo ministro Binali Yildirim, fedelissimo del presidente islamico Recep Tayyip Erdogan, ha cancellato i festeggiamenti dedicati all’esercito. Al loro posto il governo ha dato un ulteriore giro di vite alla libertà di stampa in nome della repressione del terrorismo di stampo gulenista. Gulenista ma non solo, perché fra i rappresentanti della stampa turca il governo a trazione islamica ha trovato nemici e avversari di ogni provenienza: non solo seguaci di Fethullah Gulen – l’uomo che dal suo esilio statunitense avrebbe a più riprese tentato di rovesciare l’ordine costituito – ma anche sostenitori della causa curda o reporter indipendenti accusati di aver violato la legge antiterrorismo.

 

Fra questi c’è per esempio Can Dündar, l’ex direttore di Cumhuriyet. Dündar fu arrestato nel novembre del 2015, e cioè prima del golpe, perché il suo giornale aveva svelato come l’intelligence turca avesse fornito armi ai combattenti dei gruppi islamisti attivi in Siria contro il governo di Bashar al Assad. Scarcerato per ordine della Corte suprema, il giornalista ha lasciato il suo paese, dove è condannato a dieci anni di carcere.

 

In Europa Dündar è conosciuto, premiato, ascoltato, ma per ogni Dündar famoso all’estero, in Turchia restano dozzine di giornalisti più o meno noti alla mercé della vendetta del duo Erdogan-Yilidirim. Questo è stato il 30 agosto, scrive ancora Candar su al-Monitor: “Al posto delle fanfare, una nuova ondata di intimidazioni e di soppressione del giornalismo indipendente. La giornata si è aperta con una serie di raid polizieschi a casa di numerosi reporter di fama mondiale”. I loro nomi sono stati diffusi da Platform24.org, “una piattaforma”, nelle parole di Candar, “per il giornalismo indipendente fondata da Hasan Cemal, già direttore di Cumhuriyet, e decano dei giornalisti turchi con all’attivo 50 anni di esperienza”.

 


Turchia, Giorno della Vittoria ad Ankara (foto LaPresse)


 

L’ultima campagna di Platform24 riguarda la condizione dei giornalisti turchi sotto lo stato d’emergenza, proclamato da Erdogan all’indomani del golpe fallito di metà luglio. Fra gli ultimi arresti “ci sono anche 14 o 15 giornalisti curdi che sono stati rilasciati nemmeno una settimana fa”, dice al Foglio uno dei principali attivisti della piattaforma. Non si tratta di un giornalista sconosciuto ma di uno dei volti più noti della televisione turca, “ma chiedo che il mio nome non sia utilizzato”. La sua non è paura per possibili conseguenze personali – l’uomo è già stato ampiamente preso di mira dal governo – ma la volontà di dare spazio per una volta al sito web e alle liste con i nomi dei colleghi meno conosciuti. “Almeno 110 giornalisti sono in carcere, poi ce ne sono un’altra trentina presi in custodia dalla polizia: con le nuove norme il fermo di una settimana può essere esteso fino a un mese, fino all’arrivo di una decisione del magistrato sulla persona fermata”.

 

I nomi degli incarcerati e dei fermati non sono raccolti in un solo file ma le liste si sprecano. Nella prima, aggiornata al 31 agosto, troviamo 162 giornalisti “fermati nel quadro delle indagini post golpe”: in rigoroso ordine alfabetico spiccano il primo, Abdullah Abdulkadirglu, di Samanyolu TV, “che secondo l’agenzia Anadolu dovrebbe aver lasciato il paese” e l’ultimo Zeki Onal, rimasto ai domiciliari “per l’età avanzata e le cattive condizioni di salute”. A seguire appare la lista dei “giornalisti incarcerati duranti lo stato d’emergenza al di fuori delle indagini sul golpe”: 65 nomi. Quindi una lista più breve: “Giornalisti fermati durante lo stato d’emergenza al di fuori delle indagini sul golpe”: dodici nomi. Chiudono l’ingloriosa pagina altre due liste: i reporter “arrestati prima dello stato d’emergenza” con 33 nomi – l’ultimo dei quali è un praticante –  e tutte le testate chiuse per decreto in Turchia; qua si contano 16 canali televisivi, sei agenzie di stampa, tre dozzine di giornali, 16 riviste, 23 radio e un numero doppio di case editrici. Per quanto riguarda i nomi dei giornalisti “non riusciamo a essere più precisi, la situazione cambia di ora in ora, con nuovi rilasci e nuovi fermi”, riprende il responsabile della piattaforma, “ma il numero preciso non conta: importante è raccontare che ‘casino’ sta succedendo in Turchia”, dice in italiano.

 

I lucchetti alla stampa non sono stati messi dalla mattina alla sera, ben inteso. Prima del putsch di luglio “i giornalisti arrestati erano una quarantina”, principalmente simpatizzanti di Gülen o della causa curda; il che non ha impedito nello stesso periodo l’arresto di Can Dündar grazie all’applicazione delle leggi anti-terrorismo. Dopo il 16 di luglio il crackdown contro la stampa si è fatto più aspro: “Fino ad allora Erdogan aveva avuto mano libera solo contro il Pkk, internazionalmente riconosciuto come organizzazione terroristica”. Nonostante gli sforzi di Ankara e le indicazioni del Consiglio per la sicurezza nazionale, nessun giudice aveva indicato che anche il movimento gulenista – “FETÖ” lo chiama il governo – fosse dedito all’eversione. Così è stato invece dopo il golpe, e la collaborazione della magistratura “ha reso molto più facile per Erdogan l’arresto di sospetti gulenisti. Adesso il regime può colpire curdi e gulenisti indifferentemente”. La conclusione è particolarmente amara per tanti reporter indipendenti: lo scorso 16 agosto una corte di Istanbul ha ordinato la chiusura del quotidiano pro-curdo Ozgür Gündem per diffusione di propaganda terrorista. Il direttore della testata ha subito lanciato un appello ai colleghi fuori della redazione: venite a una veglia per noi, scrivete un pezzo in nostro favore. “Quel giorno, all’ultima riunione della redazione sono andati tanti giornalisti liberali e di sinistra, non necessariamente curdi: chi ha preso la parola, chi ha scritto un editoriale. Oggi anche loro sono accusati di aver partecipato alle attività di un’organizzazione terrorista”.