Deutsche Bundesbank (foto Stephan Mosel via Flickr)

Taccuino Merkel

Marco Valerio Lo Prete
Perché la cancelliera è stata forse il leader europeo che più si è speso per scongiurare l’uscita del Regno Unito dall’Unione europea? Ecco cosa teme davvero Berlino su Brexit e crisi dell’euro, in due studi di Barclays e Bundesbank.

Roma. Angela Merkel è stata forse il leader europeo che più si è speso per scongiurare l’uscita del Regno Unito dall’Unione europea. Oggi però, dopo il voto pro Brexit del popolo inglese e di fronte all’insistenza del neo primo ministro Theresa May a rispettare il risultato referendario, la stessa Merkel ha scelto di non indugiare in atteggiamenti punitivi verso Londra (e questo a dispetto di alcune aggressive dichiarazioni arrivate alla vigilia del referendum dello scorso 23 giugno da parte del suo fidato ministro delle Finanze, Wolfgang Schäuble). Anzi, numeri alla mano, Merkel ora dovrebbe auspicare che le cose a Londra vadano bene, altrimenti a rimetterci potrebbe essere innanzitutto l’economia tedesca.

 

E’ quanto sostiene uno studio appena pubblicato da Barclays, istituto di credito di Sua Maestà. Nel quale si osserva per esempio che oggi il surplus commerciale della Germania rispetto al Regno Unito, cioè la differenza positiva tra esportazioni e importazioni, è pari all’1,7 per cento del pil tedesco. Il dato è ancora più eclatante se visto da un’altra prospettiva: nel 2015 il surplus commerciale di Berlino è stato pari a 248 miliardi di euro, e il 20,4 per cento di questa cifra monstre è dipeso da Londra. Perciò Barclays definisce il Regno Unito come “il consumatore di ultima istanza” della prima economia europea. Negli ultimi trent’anni, tutte le volte che la domanda inglese è calata, le esportazioni made in Deutschland ne hanno risentito. A questo si aggiunga il deprezzamento subìto dalla sterlina, che rende i beni tedeschi più onerosi. Non sarà facile vendere agli inglesi automobili e prodotti chimici per 90 miliardi di euro, come avvenuto nel 2015.

 

Nel caso in cui il Regno Unito fosse colpito da un’eventuale recessione post Brexit, che comunque Barclays si attende sia “lieve” nel 2017, le banche tedesche navigherebbero in acque migliori rispetto a quelle già agitatissime degli esportatori. Dal 2008-’09 al 2016, gli istituti di credito di Berlino hanno dimezzato infatti la loro esposizione verso controparti tedesche. Di eventuali ostacoli alla libera circolazione delle persone risentirebbero invece più i tedeschi che gli inglesi. “Lo scorso anno c’erano tre volte più tedeschi residenti nel Regno Unito che inglesi in Germania. Tra il 2000 e il 2015, il numero di immigrati tedeschi è aumentato di 60 mila unità. I tedeschi costituiscono circa il 4 per cento di tutti gli immigrati del Regno Unito”. Da qui discendono anche 1,1 miliardi di euro di rimesse verso Berlino.

 

Infine “la performance dell’economia tedesca alla luce del referendum inglese non dipenderà soltanto dai legami commerciali e finanziari, ma anche dal sentimento domestico complessivo che influenzerà investimenti, spesa e produzione. Se prevarrà l’incertezza sulle future relazioni con il Regno Unito e se gli investitori si aspetteranno che uno stop dell’economia inglese possa condizionare l’economia tedesca, è probabile allora che le società rinvieranno gli investimenti e le decisioni produttive, o addirittura li cancelleranno. Nel complesso, comunque, il sentimento dei tedeschi è rimasto relativamente stabile”. Tutto ciò considerato, Barclays stima – in uno scenario di stagnazione della domanda interna britannica e di una sterlina che si attesta a 1,15 sull’euro – che il pil tedesco potrebbe calare dello 0,7 per cento alla fine del 2017. “La Brexit dunque non lascerà illesa la Germania e l’Eurozona”. Merkel lo sa e per questo ora tifa Londra.

 

Ieri all’improvviso anche la Bundesbank, considerata la centrale dell’ortodossia tedesca, per una volta sembrava sprizzare europeismo. In un paper scritto da due suoi economisti (Stéphane Moyen e Nikolai Stähler) con un collega della Fed (Fabian Winkler), la Banca centrale guidata da Jens Weidmann ha esaminato nel dettaglio, ricorrendo a modelli dinamici e stocastici di equilibrio economico generale (Dsge), una proposta ufficialmente sostenuta dal governo italiano per riformare la governance della moneta unica, cioè l’idea di un sussidio di disoccupazione europeo. Le conclusioni sono piuttosto articolate, ma per gli studiosi della BuBa un meccanismo di assicurazione simile a tutela dei lavoratori europei potrebbe funzionare e tale forma di trasferimento fiscale temporaneo sarebbe migliore di un sistema che fa affidamento solo su maggior deficit pubblico per contrastare gli choc economici. In tempi di populismi anti euro montanti, perfino in Germania, Merkel valuta positivamente assist simili. Incluso quello arrivato ieri dal ministero delle Finanze di Berlino, il quale ha ammesso che la politica monetaria espansiva della Banca centrale europea tra 2008 e 2015 ha fatto risparmiare alla Germania 122 miliardi di euro in interessi sul debito.