Janet Yellen, chairwoman della Federal Reserve statunitense

Occupy Jackson Hole

Ugo Bertone
Perché i banchieri più potenti del mondo invitano il “popolo” al gran gala della Federal reserve. E chi è Ady Barkan, l’avvocato radical che pungola la Fed e piace ai democratici di Hillary.

Milano. Provate a immaginare un elegante e cortese direttore generale di Banca d’Italia ospite per una giornata di una militante no global, per vedere l’effetto che fa vivere con mille euro al mese, una famiglia con cinque figli e un marito che lavora un giorno sì, l’altro no. Difficile immaginare, viene da dire, una manifestazione di populismo più smaccata. Ma Neel Kashkari, insediato pochi mesi fa al vertice della Fed di Minneapolis, ha inaugurato il suo mandato accettando l’invito di una militante no global della città. Ieri sera i due hanno partecipato all’incontro tra otto membri della Banca centrale più potente del pianeta e una delegazione di “Fed Up”, l’organizzazione nata due anni fa per contestare la politica della Federal reserve, attenta ai sentimenti di Wall Street, ma sorda ai problemi di Main Street, la gente comune. Anche di questo è fatto il meeting di Jackson Hole, la Woodstock delle Banche centrali che a fine agosto richiama i grandi del denaro per dibattere sulle strategie della politica monetaria. Solo folclore? In buona parte sì, visto che Esther George, presidente della Fed di Kansas City che gestisce il meeting, si dichiara “del tutto solidale con quei ragazzi che mi sono tanto simpatici” ma non tradisce il suo spirito di falco: “E’ tempo di muoversi per alzare il costo del denaro in modo graduale”, ha detto ieri in un’intervista, incurante delle parole che Janet Yellen rivolgerà stasera, dopo la chiusura, ai mercati da giorni in paziente attesa. Un indizio del prossimo duello tra falchi (per lo più repubblicani, convinti che la Fed ha fatto troppo) e colombe (in massima parte democratici che ritengono che la Banca centrale debba fare di più per consolidare la ripresa). 

 

Il duello, quest’anno, è in realtà assai più complesso. Primo, perché l’economia globale (America compresa) non si è ancora lasciata alle spalle la crisi, nonostante le massicce iniezioni di liquidità praticate prima negli Stati Uniti e poi, con minore energia, dalla Bce e, soprattutto, dalla Banca del Giappone, convinta teorica dei benefici dei tassi sottozero. “Non è il caso di cambiare rotta?”, si chiedono alcuni illustri relatori di Jackson Hole. Lawrence Summers, l’ex segretario al Tesoro, ribadirà che il vero problema sta nel calo della domanda, perché la popolazione invecchia e le diseguaglianze aumentano, due fattori portano a risparmiare di più e a pesare sui tassi d’interesse. Per questo occorre stimolare la domanda attraverso la politica fiscale, non abbassando le tasse bensì aumentando la spesa pubblica. All’opposto i seguaci di Kenneth Rogoff metteranno l’accento sull’eccesso di debito: il problema non riguarda solo il risanamento dei conti pubblici, ma soprattutto quelli delle banche, che in una prossima crisi potrebbero contagiare tutto il sistema.

 

Ma i più, alla fine, si accoderanno alla tesi classica: la Grande recessione ha certamente cambiato le cose e reso la ripresa particolarmente lenta, ma le leggi fondamentali dell’economia non sono cambiate. La curva di Phillips funziona ancora e la riduzione del numero dei disoccupati porterà alla fine inflazione salariale e rialzo dei tassi. Basta aver pazienza, dirà miss Yellen. Difficile disegnare un mondo nuovo, fatto di elicotteri che distribuiscono denaro, a due mesi dal voto. Ma è proprio questa impotenza nel breve a rafforzare il messaggio di Ady Barkan, 32 anni, una laurea in Legge a Yale, che due anni fa si era presentato alla porta del meeting di Jackson Hole con una decina di supporter e che ieri sera è stato accolto quasi come un ospite d’onore. Un po’ perché “Fed Up”, dal 2014 è cresciuto, raccogliendo più di due milioni di dollari per sostenere le sue campagne, tra cui quella fortunata sull’aumento delle paghe minime. Molto, perché l’avvocato Barkan si è concentrato sulla riforma della Fed. Non ha senso, sostiene, che nessuna delle dodici banche regionali che compongono la Fed sia guidata da un banchiere nero o ispanico. Più importante e insidiosa la seconda contestazione: perché le banche commerciali hanno diritto a tre posti (su nove) in ciascuno dei dodici board che compongono il sistema? Una critica fatta propria da 127 parlamentari democratici e dalla stessa Hillary Clinton che promette, in caso di sua elezione, una riforma radicale. Merita un trattamento di favore questo (furbo) avvocato radical.

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