Donald Trump (foto LaPresse)

I tempi del Gop popolare e innovatore

Antonio Donno
Alla fine dell’800 i repubblicani americani erano innovatori: tutto popolo e libertà economica. Come cambiarono. La svolta avvenne con la crisi del ’29 e il vento statalista del New Deal. Il tentativo della rinascita a partire da Goldwater nel 1964, cui seguì la virata conservatrice.

Il Partito repubblicano (Gop, Grand Old Party) fu un partito popolare fin dai suoi esordi, anche se di un popolarismo diverso da quello attuale. Non fu un partito conservatore, ma un partito profondamente innovatore. Nato nel 1854, esso si caratterizzò subito per il programma di modernizzazione del paese, superando le vecchie concezioni rurali del Partito democratico di Thomas Jefferson. Il suo progetto ebbe fin dal 1860 un grande successo, perché intercettava pienamente la tendenza dell’economia americana a fare dello sviluppo industriale il volano della ricchezza nazionale. I famosi “robber barons”, “i baroni ladri”, che molta pubblicistica accusò di sfruttare i lavoratori e di creare gravi problemi sociali soprattutto nelle città industriali, in realtà diedero l’impulso decisivo per la modernizzazione del paese e per la diffusione del benessere. Erano repubblicani.

 

Così, i ceti produttivi, sostenitori del “free trade” e del “free soil”, del sistema bancario, del mondo degli affari, di una politica protezionistica, e poi di una politica espansionistica, dominarono, con il Partito repubblicano, la scena politica americana sino alla fine dell’Ottocento. Erroneamente si ritiene che il Gop sia stato in quei decenni un partito elitario, espressione di una élite affaristica. Non avrebbe vinto le elezioni per un trentennio abbondante dalla fine della Guerra civile sino agli ultimi anni dell’Ottocento. Come riferisce un inglese, di ritorno nel proprio paese dopo una lunga permanenza negli Stati Uniti in quegli anni – ce lo racconta Jack London in “Il popolo dell’abisso” (1902) – non era stato senza lavoro per più di dodici ore nel paese nordamericano. La differenza con la situazione della classe lavoratrice inglese era immensa. Ciò significa che il mondo americano dei lavoratori era ben consapevole del progresso indotto dalla modernizzazione e dalla nuova mentalità capitalistica che si era diffusa, nonostante la durezza della vita in fabbrica.

 

Perciò, il Partito repubblicano, pur rappresentando, nelle sue concezioni basilari, il mondo del big business e della finanza, come quello dei proprietari agricoli del Midwest, incarnò un’ideologia del lavoro e della produttività che fu ben compresa dai lavoratori salariati, perché semplicemente produceva ricchezza e dunque occupazione. Da questo punto di vista, il Gop fu un partito interclassista, e perciò anche popolare. La sua ideologia fu perfettamente descritta da Henry Stimson, che sarà Segretario alla Guerra nel 1911, al tempo del presidente Taft, in un discorso del 1925: “Abbiamo lasciato lo sviluppo e la conduzione delle nostre industrie all’iniziativa del cittadino privato e la nostra concezione della relazione del governo con il mondo degli affari è stata la seguente: il governo esiste semplicemente per evitare che i diritti o le attività di un uomo entrino in contrasto con gli eguali diritti di un altro”. Era il laissez-faire. Il finanziere e uomo politico Bernard Baruch scrisse nella sua autobiografia: “Quali sono le alternative al sistema del profitto? Quali incentivi per il lavoro possono essere messi in campo al suo posto? (…) Un’alternativa all’incentivo del profitto è di costringere gli uomini a lavorare per ordine di qualche autorità superiore, come in Unione Sovietica. (…) Ciò ha ridotto gli uomini alla schiavitù”.

 

La filosofia del Partito repubblicano al potere rappresentò una svolta epocale nella vita sociale ed economica degli Stati Uniti. I tycoons, così aspramente criticati per la loro mentalità di aggressivo arricchimento, ebbero una funzione fondamentale per il mondo del lavoro americano, la cui condizione non aveva eguali rispetto all’Europa. L’immigrazione massiccia ne era testimonianza. Quando si affacciò sulla scena politica e sociale americana il sindacalismo, esso si guardò bene dall’assumere una filosofia rivoluzionaria, ma si attestò su una politica di rivendicazioni salariali e di miglioramento delle condizioni di lavoro che ebbe il sostegno della grande parte del mondo del lavoro. Il sindacalismo americano sposò il laissez-faire, perché garantiva un progresso economico che permetteva alla classe lavoratrice un crescente benessere. Tutto ciò fu ottenuto grazie alla persistenza al potere del Partito repubblicano, il partito del big business, ma anche un partito popolare, ampiamente radicato in molte fasce sociali degli Stati Uniti, garante di una crescita economica che premiava la società americana nel suo complesso.

 

La crisi economica del 1929 fu esiziale per il Gop. La filosofia del laissez-faire fu travolta e il New Deal introdusse una rivoluzionaria concezione del rapporto tra il potere politico e la società fondata sull’intervento dello Stato. Roosevelt e il Partito democratico s’incaricarono di superare la crisi grazie alla presenza pervasiva dei poteri pubblici nei più vari gangli della società americana. I repubblicani videro in tutto ciò la fine della tradizione americana; anzi, giudicarono un-american il New Deal. Fu a questo punto, dopo la fine del dominio democratico e il decennio amorfo del repubblicano Dwight Eisenhower negli anni ’50, che una parte dell’intellettualità repubblicana uscì allo scoperto e diede vita ad un nuovo Partito repubblicano. Fu un mutamento rivoluzionario rispetto alle concezioni che avevano costruito e retto al potere il Partito negli ultimi decenni dell’Ottocento. Per questo motivo, la storia del Partito repubblicano degli Stati Uniti può essere divisa in due precise fasi storiche. Paradossalmente si può dire che il Partito repubblicano divenne nuovamente un partito popolare, “di popolo”, dal momento in cui il suo candidato, Barry Goldwater, perse con grave distacco la campagna presidenziale del 1964 contro il democratico Lyndon Johnson.

 

Ma il contributo di Goldwater alla rinascita del GOP consistette nella modifica profonda dell’ideologia del partito, che divenne una formazione politica radicata nel conservatorismo, un termine fino ad allora alquanto desueto nella tradizione politica americana. Da quel momento in poi il Partito repubblicano rappresentò la parte conservatrice dell’elettorato americano, anche se il significato del conservatorismo incarnato dal Gop fu ben diverso dalla tradizione conservatrice europea. Comunque, da quello storico momento il Partito repubblicano rinnovò la sua tradizionale base elettorale, radicandosi a largo raggio nei ceti popolari degli Stati Uniti, in precedenza dominati dal Partito democratico. Quando l’attuale candidato repubblicano, Donald Trump, dichiara pubblicamente di essere l’esponente delle istanze popolari diffuse nel suo paese e di rappresentare le classi medio-basse e quelle meno agiate del mondo del lavoro, non afferma nulla di nuovo. Si pone nella scia della tradizione conservatrice del suo partito, benché in una forma rozza e spesso indigesta. Ma questo non conta nell’economia del nostro discorso.

 

Il conservatorismo del Partito repubblicano negli anni del secondo dopoguerra e sino ad oggi nasce dalla contestazione profonda dell’ideologia liberal lasciata in eredità dal New Deal al Partito democratico in favore del recupero della tradizione politica americana fondata sul liberalismo dei Padri fondatori. Dunque, il conservatorismo del Gop consiste nel porsi come il partito autenticamente americano, interprete vero delle libertà americane fondate sul concetto di “stato minimo” e dunque contrario all’intervento pervasivo dello stato centrale, com’era accaduto durante gli anni del New Deal. E, come si è detto, fu Barry Goldwater a essere l’interprete di questa nuova fase della storia dei repubblicani, contrastando e battendo le posizioni del governatore repubblicano di New York, Nelson Rockefeller. Il pensiero di Thomas Jefferson, cui sia i Repubblicani sia i Democratici si rifanno in continuazione, spesso con una stucchevole ripetizione, fu invocato da Goldwater in quanto difensore dei diritti degli stati e del decentramento e in contrapposizione al centralismo dei democratici, a partire dal New Deal in poi. Questa nuova posizione dei repubblicani ebbe la sua consacrazione nella celebre battuta di Ronald Reagan: “Lo stato non è la soluzione, lo stato è il problema”. Il rinnovamento del Partito repubblicano, cui Goldwater diede un impulso iniziale che sarà molto fruttuoso, divenne sempre più popolare tra gli elettori americani e rilanciò il partito come interprete del sentimento di appartenenza di una buona fetta dell’opinione pubblica del paese.

 

Il Midwest e il Sud diedero nel tempo un contributo di popolo alla causa repubblicana. I farmers del Midwest detestavano i democratici e i liberal della costa orientale perché esponenti di una élite di potere sofisticata e giudicata nemica dell’America profonda, ma nello stesso tempo sospettosi nei riguardi dei repubblicani, la cui classe dirigente non si distingueva dai modi di pensare dei liberals democratici. Goldwater, che proveniva dall’Arizona e si proponeva come l’antagonista del magnate Rockefeller, ebbe il gradimento del popolo del Midwest e Southwest e, pur perdendo le elezioni presidenziali, fu in grado di spostare l’elettorato di quelle regioni verso il Partito repubblicano. Il popolo dell’America profonda vide nel Partito repubblicano l’interprete degli autentici “valori americani” che i Padri fondatori avevano lasciato come costituivi dell’American way of life.
Allo stesso mondo, gli elettori degli stati del sud, progressivamente, lasciarono il Partito democratico. In realtà, l’alleanza tra il sud democratico e i democratici e i liberal del nord-est si era sempre fondata sull’ambiguità.

 

Si trattava di una coalizione tra interessi molto distanti tra di loro. I democratici del sud esigevano dal partito la libertà di gestire i loro affari secondo i metodi propri della mentalità del sud, anche sul piano delle relazioni razziali, in cambio del sostegno al partito. Furono le elezioni del 1964 a decretare l’inizio graduale della migrazione, prima della dirigenza, poi dell’elettorato sudista, verso il Partito repubblicano, cosa che si concretizzò chiaramente con le elezioni del repubblicano Richard Nixon e poi, definitivamente, di Ronald Reagan. Il popolo del sud vide che il conservatorismo del Partito repubblicano si confaceva al proprio modo di sentire la propria appartenenza al mainstream sezionale molto più dell’ambigua alleanza con i liberals, con cui non condividevano praticamente nulla sul piano ideologico e sostanziale. Di conseguenza, il Partito repubblicano ridivenne un partito di popolo, ponendosi sulla scena politica americana con una base elettorale solida e, dal 1964 in poi, ridefinendo la sua connotazione ideologica in senso conservatore e con esiti elettorali molto proficui.

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