Perché è importante la storia del diplomatico che scappa dalla Corea del nord

Giulia Pompili
La storia di Thae Yong Ho, il diplomatico nordcoreano dislocato a Londra che ha disertato e ora si trova sotto la protezione della Corea del sud, ci dice molto dell’attuale situazione dell’establishment di Pyongyang. Thae Yong Ho viveva da dieci anni nella capitale britannica, e aveva un rapporto piuttosto aperto con “il mondo esterno”.
La storia di Thae Yong Ho, il diplomatico nordcoreano dislocato a Londra che ha disertato e ora si trova sotto la protezione della Corea del sud, ci dice molto dell’attuale situazione dell’establishment di Pyongyang. Thae Yong Ho viveva da dieci anni nella capitale britannica, e aveva un rapporto piuttosto aperto con “il mondo esterno”. Faceva parte della élite nordcoreana, cioè quei funzionari statali che non sono militari ma che comunque godono di una certa libertà rispetto agli altri impiegati all’estero. Thae, tra l’altro, è il cognome di una famiglia importante in Corea del nord, tradizionalmente ritenuta “fedele” alla dinastia dei Kim. Inoltre il viceambasciatore nordcoreano a Londra per la Corea del nord ha un ruolo strategico: da lì si ha accesso ai media anglosassoni (e lavorare con i giornalisti era uno dei compiti di Thae) e da lì si può controllare l’enorme comunità coreana (dove vivono anche molti nordcoreani che hanno chiesto asilo in Gran Bretagna) di New Malden, nel sud di Londra (qui raccontata da Paul Fisher sull’Independent). Nonostante il valore strategico della missione, Thae viveva il suo ruolo in modo piuttosto rilassato. Lo dimostra la descrizione che ha fatto di lui e della sua vita Steve Evans, giornalista della Bbc che spesso incontrava il diplomatico per lavoro. E’ strano pensare che un nordcoreano all’estero abbia tanti contatti con gli occidentali, ma Thae era l’uomo di Pyongyang in Europa, non solo a Londra. Parlava un perfetto inglese, aveva rapporti con Bruxelles, i suoi due figli andavano alla scuola pubblica – il primogenito in particolare aveva davanti una carriera all’Imperial College, scrive il Guardian che ha contattato i suoi compagni di classe. Inusuale, che tutta la famiglia sia riunita in un paese straniero: come ha spiegato alla Cnn Sokeel Park di Liberty in North Korea, di solito almeno un membro della famiglia di chi ha un ruolo di alto profilo all’estero resta sempre a Pyongyang, e minacciando ritorsioni su di lui il regime si assicura la fedeltà di chi è via. Per mister Thae, il membro della famiglia in ostaggio potrebbe essere il padre. In ogni caso, nei dieci anni di servizio, il viceambasciatore non aveva mai manifestato segnali di insoddisfazione e anzi, secondo molte fonti non aveva mai tradito nemmeno per scherzo la retorica sulla Repubblica democratica di Corea, ovvero sulla Corea del nord, partecipando alle riunioni dei movimenti di supporto comunisti e con dichiarazioni pubbliche sulla bontà delle azioni nordcoreane.

 

Sui motivi della fuga dei Thae si può solo fare supposizioni. Se si tratta di diserzioni di così alto livello, di solito Seul non conferma la notizia così velocemente. Quando un comune nordcoreano riesce a varcare il confine oppure riesce a raggiungere un consolato sudcoreano – dove gli viene consegnato il passaporto, perché tecnicamente Seul non riconosce la “cittadinanza” nordcoreana – i servizi segreti hanno una quarantina di giorni a disposizione per gli interrogatori e il debriefing. Stabilita la veridicità delle informazioni fornite dal nordcoreano – e stabilito che non si tratti di un agente sotto copertura – i servizi trasferiscono il rifugiato in un hanawon. Si tratta di centri messi a disposizione dal governo sudcoreano e gestiti da moltissime associazioni dove per tre mesi ai nordcoreani, che fino ad allora hanno vissuto lontani dalla modernità occidentale, viene insegnato di tutto: dalla lingua all’uso di internet fino al funzionamento del water coi bottoni. Per Thae, ovviamente, tutto questo non sarà necessario ma il suo debriefing sarà più complicato del solito per via del suo ruolo. Inoltre, il fatto che già mercoledì il portavoce del ministro dell’Unificazione sudcoreano abbia confermato la sua custodia – in una conferenza stampa ha detto che “il viceambasciatore era preoccupato per il futuro dei suoi figli e ora, insieme con la sua famiglia, si trova sotto la protezione del governo di Seul” – per la propaganda nordcoreana è un brutto colpo.

 

Da quando è salito al potere Kim Jong-un, nel dicembre del 2011, i fuggitivi dalla Corea del nord sono diminuiti (meno di cento al mese, nel 2009 erano il doppio). Non è chiaro il motivo, ma uno dei tanti potrebbe essere la stretta della politica di Pyongyang sul controllo dei confini e sulle punizioni/ritorsioni in caso di fuga. E’ anche per questo che Seul tenta di dare ampio risalto alle diserzioni che terminano con un lieto fine. Per esempio, è stato dato ampio risalto sui media alla fuga di massa dell’aprile scorso, quando tredici persone, tutte dipendenti dello stesso ristorante nordcoreano in Cina, sono sparite per poi riapparire come rifugiati in Corea del sud (un altro mistero, le modalità di fuga: Pechino fino a poco tempo fa aveva un accordo bilaterale con Pyongyang per il rimpatrio immediato dei nordcoreani in procinto di scappare. Le cose, forse, stanno iniziando a cambiare). E’ sempre di mercoledì la notizia che i tredici avrebbero finito il loro periodo di reinserimento e che stanno per iniziare le loro nuove vite in Corea del sud.
 

A differenza di quelle delle persone comuni, sembra che le diserzioni da parte di diplomatici siano in aumento. Quella più importante avvenne nel 1997, quando l’ambasciatore nordcoreano in Egitto domandò asilo agli Stati Uniti. Ma ce ne sono state anche in tempi più recenti: a luglio, un segretario dell’ambasciata nordcoreana di Mosca, nel maggio del 2015 un attaché dell’ambasciata in Etiopia, nel 2014 un diplomatico dell’ambasciata tailandese. E questi sono solo quelli di cui sappiamo. I diplomatici hanno a che fare con l’ambiente esterno e forse è più facile per loro riconoscere la cattiva reputazione di cui gode Kim Jong-un all’estero. Secondo Andrei Lankov, contattato da NK news, le élite nordcoreane – che sono quelle più colpite dalle sanzioni internazionali del 2015 – stanno iniziando a sentire il terreno traballante sul quale si muovono: “Sono perfettamente consapevoli di come saranno trattati dopo un eventuale crollo della Corea del nord, e scappare prima di quel momento è una scelta molto razionale”.


L'ambasciata nordcoreana a Roma si trova a viale dell'Esperanto. L'Italia è un paese strano, perché ospita una sede diplomatica di Pyongyang ma in Corea del nord esiste solo un nostro ufficio di cooperazione gestito da pochissimo tempo da Luciano Rovesti (che ha vinto un concorso dell'ambasciata italiana in Corea del sud). Nell'ambasciata nordcoreana a Roma lavorano tre persone, responsabili più che altro di controllare i dieci studenti di Architettura che studiano alla Sapienza. E' difficile vedere in giro i tre, fuori dall'ambasciata e dagli eventi organizzati per l'ambasciatore da Antonio Razzi e dalla Kfa Italia. Per intenderci, nessuno dei funzionari ha uno stile di vita lontanamente paragonabile al livello di libertà di cui godeva Thae Yong Ho. Ma c'è di più. Dal 2012 l'ambasciatore nordcoreano a Roma era Kim Chun Guk, che però è morto il 22 febbraio scorso per un tumore. Da allora è il viceambasciatore Paek Song Chol a svolgere le sue funzioni, ma è strano che dopo sei mesi Pyongyang non abbia ancora inviato nessun diplomatico di alto livello per sostituire Kim. E' possibile che dopo tutte queste diserzioni, Kim Jong-un non abbia ancora trovato un ambasciatore di cui si fidi ciecamente.

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  • Giulia Pompili
  • È nata il 4 luglio. Giornalista del Foglio da più di un decennio, scrive soprattutto di Asia orientale, di Giappone e Coree, di Cina e dei suoi rapporti con il resto del mondo, ma anche di sicurezza, Difesa e politica internazionale. È autrice della newsletter settimanale Katane, la prima in italiano sull’area dell’Indo-Pacifico, e ha scritto tre libri: "Sotto lo stesso cielo. Giappone, Taiwan e Corea, i rivali di Pechino che stanno facendo grande l'Asia", “Al cuore dell’Italia. Come Russia e Cina stanno cercando di conquistare il paese” con Valerio Valentini (entrambi per Mondadori), e “Belli da morire. Il lato oscuro del K-pop” (Rizzoli Lizard). È terzo dan di kendo.