Donald Trump (foto LaPresse)

Chi c'è nella “lettera degli insider” contro Trump

Daniele Raineri
Se fosse eletto “metterebbe in pericolo la sicurezza nazionale del nostro paese e il suo benessere”, scrivono cinquanta repubblicani esperti di sicurezza nazionale

Roma. Cinquanta repubblicani esperti di sicurezza nazionale che hanno lavorato per il governo americano anche con incarichi di massima responsabilità hanno firmato una lettera aperta per sostenere che Donald Trump non ha i requisiti minimi per essere il candidato repubblicano alle elezioni presidenziali di novembre. “Gli mancano il carattere, i valori e l’esperienza”, e se fosse eletto “metterebbe in pericolo la sicurezza nazionale del nostro paese e il suo benessere”. Tra i firmatari ci sono nomi di peso dell’establishment come John Negroponte, che è stato vicesegretario di stato e direttore dell’intelligence nazionale, Michael V. Hayden, ex direttore della Cia e della Nsa, e Robert Zoellick, un altro ex vicesegretario di stato.

 

Non è il primo episodio di fuoco amico da parte di esponenti dello stesso partito di Trump, ma dopo la convention di Cleveland il ritmo dei contro-endorsement e delle prese di distanza è accelerato. Più che la piattaforma di politica estera del candidato, ancora vaga, sono le qualità personali a preoccupare gli ex della sicurezza nazionale: “Ha dimostrato più volte di avere scarsa comprensione degli interessi vitali dell’America, delle sue complesse sfide diplomatiche, delle sue alleanze indispensabili e dei suoi valori democratici”, scrivono i cinquanta; e notano che Trump “non ha mostrato interesse a informarsi”. Inoltre “non incoraggia le idee diverse dalla sua. Non ha autocontrollo e agisce d’impeto. Non riesce a tollerare le critiche personali. Ha messo in allarme i nostri alleati più stretti per con il suo comportamento imprevedibile. Tutte queste sono qualità pericolose per un individuo che aspira a essere presidente e comandante in capo, con autorità sull’arsenale nucleare americano”. Infine, Trump “non riesce a distinguere il vero dal falso”.

 

“Nessuno di noi voterà Donald Trump”, dice la lettera, qualche firmatario si asterrà e altri voteranno Hillary Cliton, come ha annunciato che farà con certezza un altro esponente importante  del circolo della sicurezza nazionale, l’ex direttore della Cia Michael Morell, in un editoriale durissimo contro Trump – pubblicato venerdì scorso, anche questo sul New York Times.
Il messaggio dei cinquanta è l’ultimo episodio della guerra interna al Partito repubblicano, scisso in modo irrimediabile in due fazioni con idee del mondo opposte. Da una parte chi crede nell’obbligo/opportunità dell’America di intervenire nel mondo con il suo peso diplomatico e militare, dall’altra l’isolazionismo di Trump che, come nota uno spot televisivo della Clinton, viene molto comodo alla politca estera di Mosca. La disinvoltura con cui il candidato ha chiesto alla Russia di trovare le mail mancanti nel caso dei server privati che tormenta Hillary Clinton – ero sarcastico, ha detto poi lui – e la volontà di fare i conti con i membri dell’alleanza Nato che non contribuiscono abbastanza, anche a costo di rompere il patto militare, hanno convinto i cinquanta a uscire allo scoperto.  

 

E’ interessante notare come in calce alla lettera ci siano anche nomi come Eliot Cohen – un professore della Jonh Hopkins University che ha lavorato come consigliere al dipartimento di stato sotto Condoleezza Rice – e Dov Zakheim – ex funzionario del Pentagono sotto Reagan e Bush – che faranno vibrare le narici dei sostenitori più sanguigni di Trump. Una parte consistente dell’elettorato del newyorchese è persuasa che negli anni scorsi la politica estera americana sia stata dirottata da un “complotto ebraico” che ha preso la forma dei neoconservatives, intellettuali di sinistra passati a posizioni conservatrici per animare un dibattito molto intenso specialmente dopo gli attacchi dell’11 settembre e  durante gli anni dell’Amministrazione di George W. Bush. E a questo ha alluso Trump quando nella sua risposta ha detto che i firmatari sono “quelli che dovrebbero rispondere sul perché il mondo è un casino, e grazie per essersi fatti avanti così tutti nel paese sapranno di chi è la colpa se il mondo è un posto così pericoloso”. Gli ha fatto eco Rudolph Giuliani, ex sindaco di New York: “Vedete, Trump sta correndo contro gli insider di Washington”. 

  • Daniele Raineri
  • Di Genova. Nella redazione del Foglio mi occupo soprattutto delle notizie dall'estero. Sono stato corrispondente dal Cairo e da New York. Ho lavorato in Iraq, Siria e altri paesi. Ho studiato arabo in Yemen. Sono stato giornalista embedded con i soldati americani, con l'esercito iracheno, con i paracadutisti italiani e con i ribelli siriani durante la rivoluzione. Segui la pagina Facebook (https://www.facebook.com/news.danieleraineri/)