I leader europei issano la bandiera bianca della resa. Dal 2008 la maggior parte dei grandi paesi europei ha tagliato le spese destinate alla difesa del 15 per cento

Europa, mani in alto!

Giulio Meotti
Eserciti “grassi e obsoleti” che sembrano “Medici senza frontiere con le pistole”. Il disarmo di un continente che ha sostituito la guerra con un messaggio in codice: “Ci arrendiamo”.

Nel 1970, Mogens Glistrup, un politico di primo piano in Danimarca, divenne famoso per aver suggerito che il suo paese sostituisse le forze armate con un messaggio registrato in russo: “Ci arrendiamo”. Glistrup non è più fra noi, ma il suo approccio alla difesa sembra guadagnare terreno in tutta Europa. Come ha scritto il premio Pulitzer Bret Stephens sul Wall Street Journal, “i membri dell’Unione europea hanno speso più duecento trilioni di dollari l’anno per la difesa, messo in campo più di duemila aerei da combattimento e cinquecento navi da guerra, impiegando 1,4 milioni di personale militare. Più di un milione di agenti di polizia sono a piedi nelle strade d’Europa. Eppure, di fronte alla minaccia islamista, il continente sembra impotente”.

 

Il settimanale tedesco Der Spiegel ha pubblicato di recente una inchiesta dal titolo: “Le forze disarmate della Germania”. Il Guardian ha rincarato la dose: “Dimenticate la Wehrmacht, presto non ci sarà più alcun esercito tedesco”. Politico Europe ha titolato sulla “ingloriosa Bundeswehr”. “Non sparate per favore, siamo tedeschi”, ha sintetizzato l’Economist.
Così, mentre l’allora ministro degli Esteri tedesco, Guido Westerwelle, prometteva di fare della Germania una “leader della pace e del disarmo”, sui media americani uscivano rapporti sul fatto che i soldati tedeschi non potevano neppure sparare durante la missione in Afghanistan.

 

“Un’Europa disarmata affronterà da sola il mondo”, ha scritto Gideon Rachman sul Financial Times. Dal 2008, in risposta alla crisi economica, la maggior parte dei grandi paesi europei ha tagliato le spese destinate alla difesa del 15 per cento. E la maggior parte dei membri dell’Alleanza atlantica sta smobilitando: la Germania è passata da 545 mila militari nel 1990 a 180 mila, mentre la Francia è scesa da 548 mila a 213 mila. Un paragone con la Russia di Putin? Mosca ha aumentato del 79 per cento la spesa militare in un decennio. La Royal Air Force inglese oggi ha solo un quarto del numero di aerei che aveva nel 1970. I cacciatorpedinieri e le fregate della Royal Navy sono 19, rispetto ai 69 del 1977. L’esercito britannico è previsto che si riduca a 82 mila soldati, il numero più basso dai tempi delle guerre napoleoniche. Così tanti soldati hanno lasciato l’esercito britannico negli ultimi cinque anni che il Regno Unito è ormai a corto di 3.400 operativi. Complici le guerre in Afghanistan e in Iraq che hanno rallentato gli arruolamenti. Nel 1990 la Gran Bretagna aveva 27 sottomarini (esclusi quelli che trasportano missili balistici) e la Francia ne aveva 17. I due paesi ormai ne hanno sette e sei rispettivamente. Eppure, Gran Bretagna e Francia sono comunemente considerate come le uniche due nazioni europee che ancora prendono sul serio la difesa.

 

La Spagna devolve meno dell’un per cento del suo pil alle spese militari. E gran parte della spesa militare serve a pagare gli stipendi. Come in Belgio, dove il 75 per cento della spesa destinata alla difesa va a coprire i salari dell’esercito. Molte delle forze della Nato oggi sono scarsamente equipaggiate perché gran parte del denaro viene speso per retribuzioni e benefici. Mentre gli Stati Uniti spendono il 36 per cento del loro bilancio della difesa per le buste paga, la maggior parte dei membri della Nato in Europa vi destina una media del 65 per cento. Durante la guerra in Iraq, l’allora segretario generale della Nato, George Robertson, scosse non poco il World Economic Forum con una dichiarazione: “Il problema in Europa è che ci sono troppe persone in uniforme e troppo pochi di loro in grado di entrare in azione”.

 


(foto LaPresse)


 

Il Belgio, ad esempio, impiega centinaia di barbieri militari, musicisti e altro personale inutile e che non è suscettibile di essere chiamato in battaglia. Eppure, il Belgio non ha il denaro per sostituire gli elicotteri. I funzionari statunitensi dell’antiterrorismo sono a tal punto frustrati con l’incapacità di Belgio di affrontare cellule terroristiche all’interno che un alto ufficiale dei servizi segreti degli Stati Uniti ha paragonato la forza di sicurezza belga a dei “bambini”. Un ex portavoce del ministro della Difesa belga, Andre Flahaut, ha lasciato intendere perché sia un problema soprattutto ideologico: “Non sono sicuro che la missione dei militari sia quella di combattere”. Il Belgio, pur finito sotto attacco terroristico a Bruxelles lo scorso marzo, vede il suo ruolo militare principalmente focalizzato sulle operazioni di “mantenimento della pace”. I soldati messi a guardia delle sinagoghe di Bruxelles dopo l’uccisione di quattro ebrei al Museo Ebraico non avevano proiettili nei loro fucili. Uno show.

 

Stufo di quanto ha visto, il generale Joseph Ralston, ex comandante supremo della Nato per l’Europa, ha così definito gli eserciti europei: “Grassi, obsoleti e ridondanti”. Nel 2011 la prima campagna militare della Nato in Libia non guidata dagli americani aveva già mostrato i limiti della potenza militare del continente. “La mancanza di investimenti per la difesa in Europa renderà sempre più difficile per l’Europa assumersi la responsabilità per la gestione delle crisi internazionali oltre i confini europei”, ha detto il segretario generale della Nato fino a due anni fa, Anders Fogh Rasmussen. Non a caso questa settimana il governo libico si è rivolto agli Stati Uniti per bombardare le postazioni dello Stato islamico. In Libia, 250 aerei compivano 150 missioni al giorno, contro le ottocento missioni al giorno durante la campagna Nato in Kosovo nel 1999. Nel 2011, mentre tutte le 28 nazioni della Nato avevano approvato la missione in Libia, meno della metà vi presero parte. “Le capacità militari semplicemente non ci sono”, disse il capo del Pentagono Robert Gates.

 

Venti anni fa, alla fine della Guerra fredda, gli alleati europei contribuivano per un terzo alle spese per la difesa della Nato. Oggi solo per il venti per cento. La Germania, la più grande economia europea, si rifiutò di partecipare alla missione libica. “Le nazioni hanno diverse priorità”, disse il tenente colonnello Holger Neumann, un portavoce del ministero federale tedesco della Difesa. La Germania deve affrontare ben più gravi “sfide economiche”. I Paesi Bassi oggi investono nella difesa appena l’1,15 per cento del loro pil, tanto che Rob de Wijk, un olandese consulente della difesa, ha riferito al Parlamento dei Paesi Bassi che gli olandesi ormai sono solo degli “scrocconi internazionali”. Per questo agli americani l’Europa interessa sempre meno. Mentre la spesa americana per la difesa europea è scesa del 20 per cento negli ultimi dieci anni, la spesa per la difesa del Pacifico è aumentata quasi del 200 per cento. L’anno scorso, per la prima volta da secoli, le nazioni asiatiche hanno investito in potere militare più dei paesi europei.

 


(foto LaPresse)


 

L’11 marzo del 2004, 192 persone vennero uccise e 1.400 ferite in una serie di attacchi terroristici a Madrid. Tre giorni più tardi, il leader socialista spagnolo José Luis Rodríguez Zapatero venne eletto primo ministro. Appena 24 ore dopo il giuramento, Zapatero ordinò alle truppe spagnole di lasciare l’Iraq “il più presto possibile”. Una vittoria monumentale per l’islam radicale. Da allora, l’Europa ha schierato i propri boots on the ground non per combattere il jihadismo all’estero, come nel caso dell’Isis, ma all’interno dei paesi europei per proteggere monumenti e civili. “Opération Sentinelle” è l’operazione con cui l’esercito francese “protegge” sinagoghe e gallerie d’arte, scuole materne, redazioni di giornali, moschee e stazioni della metropolitana: è la prima operazione militare su vasta scala all’interno della Francia. Un’operazione che, per la prima volta dalla fine della Guerra fredda, coinvolge ben la metà di tutti i soldati francesi attualmente impiegati in operazioni militari. E di questa metà, metà a sua volta è impegnata a proteggere 717 scuole ebraiche. La ritirata francese è immortalata dall’immagine della polizia sotto la sede di Charlie Hebdo, la polizia che fugge sotto il fuoco dei terroristi islamici.

 

Un’analoga proporzione troviamo in Italia: degli 11 mila soldati che attualmente risultano impegnati nelle varie missioni militari, infatti, più della metà è utilizzata nell’operazione “Strade sicure” nelle nostre città. Questi soldati ci garantiscono sicurezza, o almeno una sua parvenza, ma il fatto che siano impegnati quasi esclusivamente a protezione di civili e monumenti dovrebbe farci riflettere. Come dovrebbe farci riflettere che utilizziamo l’esercito, vantandocene, in operazioni di salvataggio dei migranti in mare. Un anno fa, Sir Nigel Essenhigh, già capo della marina inglese, scrisse un articolo sul Telegraph in cui paragonava la difesa dell’Inghilterra di oggi a quella durante l’ascesa del nazismo: “Alla fine degli anni Venti e ai primi anni Trenta, la Gran Bretagna era avvolta dalla ripugnanza per gli orrori della Grande guerra. Nonostante la crescente minaccia del nazismo, la Gran Bretagna dava per scontato che non sarebbe stata in guerra nel prossimo decennio. Le difese della nazione furono indebolite progressivamente”. Oggi, scrive Essenhigh, ci sono molte somiglianze, basta vedere “le risposte deboli per eventi in medio oriente, come in Libia, in Siria e ancora una volta in Iraq, così come di fronte alla minaccia posta dallo Stato islamico”.

 

Poi l’appello: “Dobbiamo dimostrare ai potenziali nemici che la Gran Bretagna continuerà a essere un paese che non sarà costretto alla sottomissione attraverso la debolezza militare”. Nel 1958 un noto scrittore politico americano che stava svolgendo un’inchiesta sulla situazione europea per l’Herald Tribune, Joseph Alsop, rivolse al pacifista Bertrand Russell questa domanda: “E se i sovietici non si lasciassero indurre, in nessun modo, a un accordo per il disarmo nucleare controllato?”. “In tal caso – rispose il premio Nobel – sarei personalmente favorevole al disarmo unilaterale”. Mezzo secolo dopo, la profezia di Russell sembra inverarsi. Fino a un paio di decenni fa, la Svezia era una potenza militare. Poi, una serie di decisioni basate sulla convinzione che le guerre in Europa sono “una cosa del passato”, ha praticamente lasciato la Svezia senza difese. Secondo il comandante supremo della Svezia, Sverker Göransson, il paese scandinavo oggi è in grado, nel migliore dei casi, di “difendersi in un unico luogo solo per una settimana”.

 

Il 16 aprile 2015, la televisione pubblica svedese (Svt) ha mandato in onda il documentario “Cosa è successo alla difesa?”. Rispetto al 1985, oggi la Svezia ha il sei per cento delle unità da combattimento che aveva allora, cento aerei anziché duecento, metà della marina di una volta. L’Amministrazione Obama ha accusato i leader europei di mettere in pericolo la pace proprio a causa del loro crescente pacifismo e della riluttanza a investire nella difesa. L’ex segretario alla Difesa degli Stati Uniti Gates ha detto che sta diventando sempre più difficile per Stati Uniti ed Europa “combattere insieme”. In una riunione a Washington di funzionari della Nato ed esperti di sicurezza, Gates ha denunciato che “la pacificazione dell’Europa” è andata troppo lontano. Mentre le truppe ucraine stavano combattendo i separatisti filorussi ai confini orientali dell’Europa, un battaglione tedesco prendeva parte a una esercitazione Nato in Norvegia. Non avevano armi con sé, ma l’esercito tedesco, la Bundeswehr, ha pensato bene cosa fare: i soldati hanno preso un manico di scopa, lo hanno dipinto di nero e lo hanno usato come arma. Vignettisti e comici hanno avuto una giornata campale nello sfottere l’ex Wehrmacht.

 

La Bundeswehr possiede elicotteri che non possono volare, e carri armati che non possono sparare. Il ministro della Difesa, Ursula von der Leyen, ha assunto esperti indipendenti, guidati dalla società di consulenza Kpmg, per indagare alcuni dei grandi problemi dell’esercito. Gli esperti si sono ripresentati con una lista di 140 questioni gravi da risolvere. Come scrive Konstantin Richter della Zeit, “l’esercito tedesco zoppica anche per la sua mancanza di sostegno pubblico. Nei decenni successivi alla Seconda guerra mondiale, i tedeschi si sono trasformati in veri e propri pacifisti, godendo del loro ruolo a margine di conflitti globali. La maggioranza del pubblico tedesco si oppone a missioni di combattimento e sostiene la Bundeswehr come un’organizzazione quasi-umanitaria, una sorta di Medici senza frontiere con le pistole”. Definizione che potrebbe essere adottata per la maggioranza degli eserciti europei. In Canada, le basi militari sono ora utilizzate per ospitare i migranti e il premier Justin Trudeau prima ha fermato gli attacchi contro l’Isis e poi si è rifiutato di unirsi alla coalizione contro di esso. Il terrorismo non è una priorità per Trudeau, non come “l’uguaglianza di genere”, il riscaldamento globale, l’eutanasia e le ingiustizie commesse contro gli indiani nativi. Sono le nuove “regole di ingaggio” ideologiche dell’occidente.

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  • Giulio Meotti
  • Giulio Meotti è giornalista de «Il Foglio» dal 2003. È autore di numerosi libri, fra cui Non smetteremo di danzare. Le storie mai raccontate dei martiri di Israele (Premio Capalbio); Hanno ucciso Charlie Hebdo; La fine dell’Europa (Premio Capri); Israele. L’ultimo Stato europeo; Il suicidio della cultura occidentale; La tomba di Dio; Notre Dame brucia; L’Ultimo Papa d’Occidente? e L’Europa senza ebrei.