Donald Trump parla in Virginia (foto LaPresse)

Ecco quanto è profonda la frattura tra il Gop e il “New Trump Party”

Paola Peduzzi
Defezioni, finanziatori in allerta, alleati in panico. Ma il candidato riceve tante, piccole donazioni dai suoi elettori – di Paola Peduzzi

Milano. Il Partito repubblicano americano sta raggiungendo il punto di rottura, scrivono i commentatori, la frattura tra Donald Trump e l’establishment è sempre più profonda, i tecnici stanno già pensando a come si potrebbe affrontare l’emergenza massima: cosa accade se Trump si ritira dalla corsa? L’ipotesi è remota, oltre che quasi impraticabile: il candidato repubblicano non mostra alcun segnale di ritiro, anzi, semmai il suo ghigno si allarga un pochino di più di fronte al dimenarsi agitato del suo stesso partito. Certo, ogni giorno sembra che il fondo sia stato raggiunto, e non è mai vero: la mania collettiva per le liste ha fatto sì che i giornali compilassero elenchi di tutto quel che Trump è riuscito a dire da quando ha deciso di correre per la Casa Bianca, non ultima la polemica con i coniugi Khan, genitori di un soldato americano morto in Iraq che hanno parlato alla convention dei democratici. L’effetto di queste “listicle” è impressionante, al punto che i ranghi già piuttosto laschi del Partito repubblicano si sono infranti. Dopo la polemica del senatore John McCain, persino Mike Pence, che di Trump è il compagno di ticket, il candidato vicepresidente, ha prima difeso i coniugi Khan e poi ha deciso di dare il suo sostegno a Paul Ryan, speaker della Congresso, nelle primarie in Wisconsin della prossima settimana e al quale Trump invece aveva detto: non so se ti sostengo.

 

Il rapporto tra Ryan e Trump è burrascoso, fu Ryan per primo a dire a Trump non-so-se-ti-sostengo, salvo poi piegarsi al volere degli elettori delle primarie e presentarsi, per quanto imbarazzato e solitario, alla convention trumpiana di Cleveland. Ma lo sgarbo di Trump è enorme, a due mesi dalle elezioni le ripicche dovrebbero essere superate, si prova a vincere tutti insieme. Invece la serie di disconoscimenti è sempre più lunga, il governatore del Wisconsin Scott Walker ha disertato un comizio con Trump, e anche Reince Priebus, presidente del Republican National Committee che pure sostiene Trump, è “molto frustrato” dal comportamento del candidato nell’ultima settimana e da giorni cerca di organizzare un incontro con lui per far ripartire la sua campagna elettorale. Mentre gli strateghi del Gop, già abbastanza provati dall’ascesa trumpiana, ripetono che il panico è alto, Newt Gingrich, fedelissimo di Trump, dice che il candidato deve fare un “reset” e lo deve fare in fretta, perché sta regalando la vittoria a Hillary Clinton. Alcuni deputati conservatori hanno dichiarato pubblicamente che non voteranno per Trump, mentre il deputato del Colorado Mike Coffman ha rotto un altro tabù e ha realizzato uno spot elettorale in cui esplicita un messaggio anti Trump. In un incontro privato di fundraising a Cincinnati, l’ex presidente George W. Bush, che aveva disertato Cleveland con tutta la sua famiglia, ha criticato la politica “dell’isolazionismo, del nativismo, del protezionismo”: non ha mai citato Donald Trump, hanno riferito i presenti, ma è ovvio che si è trattato di un attacco alla piattaforma trumpiana “America First”.

 

Secondo i sondaggi, il vantaggio di Hillary è aumentato molto, ma più che “bump” post convention della candidata democratica si tratta secondo gli esperti della presa d’atto dell’implosione di Trump. I finanziatori del Partito repubblicano sono in grande agitazione (“sta commettendo un suicidio?”, ha chiesto uno di loro parlando con Buzzfeed), ma c’è un dato importante che dimostra che questa, con tutta probabilità, non è la fine della storia trumpiana. Trump ha raccolto a luglio 64 milioni di dollari grazie a tante, piccole donazioni. Nel complesso il Partito ha raccolto 82 milioni a luglio, colmando il gap prima enorme con Hillary, che ha raccolto 90 milioni di dollari. La base insomma segue ancora Trump quando dice agli elettori: “Sarò la vostra voce”.
Twitter @paolapeduzzi

  • Paola Peduzzi
  • Scrive di politica estera, in particolare di politica europea, inglese e americana. Tiene sul Foglio una rubrica, “Cosmopolitics”, che è un esperimento: raccontare la geopolitica come se fosse una storia d'amore - corteggiamenti e separazioni, confessioni e segreti, guerra e pace. Di recente la storia d'amore di cui si è occupata con cadenza settimanale è quella con l'Europa, con la newsletter e la rubrica “EuPorn – Il lato sexy dell'Europa”. Sposata, ha due figli, Anita e Ferrante. @paolapeduzzi