Musulmani in preghiera (foto LaPresse)

L'Europa vista da Beirut

Matteo Matzuzzi
E’ assurdo pretendere che il fondamentalismo e il fanatismo islamico non abbiano niente a che fare con i terroristi di Nizza e Rouen, per citare solo due esempi di una lista che è già lunga”. A dirlo al Foglio è Issa Goraieb, decano ed editorialista principe dell’Orient le jour.

Roma. “E’ assurdo pretendere che il fondamentalismo e il fanatismo islamico non abbiano niente a che fare con i terroristi di Nizza e Rouen, per citare solo due esempi di una lista che è già lunga”. A dirlo al Foglio è Issa Goraieb, decano ed editorialista principe dell’Orient le jour, lo storico e principale quotidiano francofono del medioriente, stampato a Beirut e che da sempre ha uno sguardo interessato su ciò che accade al di là del Mediterraneo, in Europa. Qualche mese fa, Goraieb è stato insignito della Legion d’onore della République, in una cerimonia solenne e affollata all’ambasciata di Francia in Libano. “Coloro che credono che il fondamentalismo non c’entri nulla non vogliono guardare in faccia la realtà, o forse abbassano i toni per tentare di preservare un minimo di stabilità interna. E’ la stessa politica dello struzzo praticata dalle autorità religiose musulmane quando declinano ogni responsabilità in merito a questa perversione omicida della religione”, sottolinea Goraieb. Il che non significa dire che l’islam è una compatta falange terrorista, ça va sans dire, anche perché l’integrazione delle comunità musulmane in Europa sarà inevitabile. “Il percorso sarà lungo e difficile, ma non c’è un altro modo”.

 

Il processo d’integrazione, aggiunge Issa Goraieb, “comporta in modo categorico un doppio obbligo. Da una parte, l’obbligo di promozione socio-economica per gli stati europei, che dovranno in primo luogo rafforzare il controllo sul funzionamento delle moschee, in particolare riguardo la formazione degli imam. Dall’altra, l’obbligo di adesione sincera e volontaria per le minoranze musulmane, chiamate a combattere concretamente e non solo a parole, la deriva islamista”. Il tema è delicato, in Francia è in corso da tempo una disfida tra il Consiglio del culto musulmano – l’organismo ufficiale riconosciuto dallo stato – e la Conferenza degli imam, che attraverso i suoi esponenti di punta invoca una presa di coscienza da parte della comunità musulmana autoctona circa la responsabilità nell’aver favorito la crescita e lo sviluppo di un integralismo che poi si concretizza in fatti come quelli accaduti la scorsa settimana a Saint-Etienne-du-Rouvray, con lo sgozzamento di padre Jacques Hamel mentre celebrava messa – “Vattene Satana, vattene Satana”, sono state le sue ultime parole stando a quanto detto ieri, durante i funerali, dal vescovo di Rouen, mons. Dominique Lebrun.

 

Si torna al capitolo dell’agognata riforma dell’islam, dell’interpretazione dei suoi testi alla luce delle mutate condizioni storiche e sociali, così diverse da quelle dei tempi in cui tali scritti furono composti. Goraieb concorda ma è convinto che anche questo “sarà un processo lungo”. Più che riforma, dice, si tratta proprio di discutere “l’interpretazione dei sacri testi dell’islam, cioè del Corano e degli hadit di Maometto. Molti versetti sono contraddittori, alcuni spingono al dialogo e altri alla guerra santa, il jihad”. Quel che è certo, è che di crisi in crisi, l’Europa appare un castello sempre più fragile. Si prenda la situazione ai suoi confini: se a ovest lo choc per l’uscita della Gran Bretagna inizia a essere lentamente superato, a est il problema turco dopo il fallito golpe contro Recep Tayyip Erdogan continua a tenere impegnate le diplomazie di Bruxelles. “La questione, a mio parere, non è quello di sapere ciò che l’Europa deve fare, ma cosa può fare, alla luce degli ultimi eventi ad Ankara”, dice Goraieb. “L’Europa non può rinunciare ai suoi princìpi in materia di rispetto dei diritti umani e delle libertà civili, che è tenuta a ricordare costantemente a Erdogan. Il problema è che l’Europa si è legata le mani con la Turchia, la scorsa primavera. Un accordo che impegna Ankara, in cambio di diversi miliardi di euro, a bloccare l’afflusso dei migranti verso il Vecchio continente”.

 

Il rischio è che “se Bruxelles insiste troppo con rimostranze e pressioni, la Turchia potrebbe aprire di nuovo le porte e inondare l’Europa con ospiti indesiderati”. E poi c’è la questione forse più spinosa, che rende il tutto una matassa difficilmente sbrogliabile: “Che sia una democrazia o una dittatura, Ankara resta preziosa per la Nato”, dice Goraieb. Nonostante tutto, “è il guardiano del fronte meridionale della coalizione occidentale e sul piano psico-politico è l’unico membro musulmano del Trattato atlantico. Senza la Turchia, questo Patto sarebbe percepito come un’alleanza tra cristiani; più ancora, come una nuova crociata”.

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  • Matteo Matzuzzi
  • Friulsardo, è nato nel 1986. Laureato in politica internazionale e diplomazia a Padova con tesi su turchi e americani, è stato arbitro di calcio. Al Foglio dal 2011, si occupa di Chiesa, Papi, religioni e libri. Scrittore prediletto: Joseph Roth (ma va bene qualunque cosa relativa alla finis Austriae). È caporedattore dal 2020.