Papa Francesco (foto LaPresse)

Il Papa, il terrorismo, il dio denaro

Claudio Cerasa
Davvero uccidere un prete è come dare uno schiaffo a una suocera? L’illusione che la forza di una negazione sia utile per difenderci dal nuovo nazismo. Il terrorismo islamico spiegato con affetto a Papa Francesco – di Claudio Cerasa

Non capiterà, speriamo, ma se dovesse ricapitare, se un altro prete, in Europa o in medio oriente, dovesse essere nuovamente sgozzato da un terrorista disposto a uccidere e farsi uccidere in nome di una lettura integralista del Corano sappiamo che l’interpretazione ufficiale di quel fatto che verrà data dal capo della chiesa cattolica, Papa Francesco, è più o meno questa. Il terrorismo islamico è una follia omicida (16/6/16) che non ha nulla a che fare con il Corano, perché l’islam è una religione di pace, comunque non meno violenta della religione cattolica, perché anche noi cattolici abbiamo quello che uccide la fidanzata o la suocera (30/7/16), e se c’è qualche pazzo che si fa saltare in aria recitando i versetti del Corano è necessario, per capire quel gesto, non ragionare su cosa è l’islam ma interrogarci su cosa può aver spinto quel “folle” a compiere un simile gesto.

 

Partendo dal presupposto che la violenza, il conflitto e il terrorismo si alimentano con la paura e la disperazione che nascono da povertà e frustrazione (25/11/15); che il terrorismo cresce anche quando non c’è un’altra opzione in un mondo che mette al centro dell’economia il dio denaro (30/7/16); che la guerra di religione non esiste ma esiste soltanto la guerra per interessi, per i soldi, per il dominio dei popoli (27/2016); e che quando si parla di terrorismo bisogna chiedersi quanti sono i giovani che noi europei abbiamo lasciato vuoti di ideali, senza lavoro, che vanno a cercare la droga, o si arruolano in gruppi fondamentalisti (30/7/16). Al di là delle molte obiezioni che si potrebbero sollevare sulle argomentazioni minimaliste di Papa Francesco – forse c’è una lieve differenza tra un omicidio commesso da chi crede in Dio e un omicidio commesso in nome di Dio contro un infedele ucciso per la sua fede in un altro dio – la negazione della radice del terrorismo di matrice islamista deve fare i conti con una serie di circostanze che sarebbe utile ricordare (i terroristi islamici, tanto per fare un esempio, arrivano spesso da famiglie di media borghesia e la loro spinta verso la violenza, come sostiene Alan Krueger nel famoso libro “What makes a terrorist”, avviene non perché non avevano alternative, a causa della diseguaglianza generata dal dio denaro, ma per questioni legate all’ideologia).

 

Al Papa forse non si può chiedere di far propria la teologia di sant’Agostino – bellum non est per se inonestum – e concedere ai bombardamenti contro lo Stato islamico il bollino della guerra giusta. Ma a Francesco si può chiedere di riflettere se siano del tutto prive di senno argomentazioni come quelle offerte dal cardinale Christoph Schönborn, arcivescovo di Vienna, o come quelle offerte due giorni fa da monsignor Yousif Mirkis, arcivescovo cattolico caldeo di Kirkuk. Entrambi hanno paragonato il radicalismo dell’Isis a quello del nazismo. Schönborn lo ha fatto sul Corriere in modo più sfumato (“Il radicalismo è una tentazione di ogni epoca: i giovani che sono diventati SS durante nazismo, da dove venivano”), Mirkis lo ha fatto in modo più netto sul Point: “Padre Jacques Hamel è un martire ed è stato ucciso perché è cristiano e con le stesse modalità con cui gli islamisti uccidono da decenni i cristiani in medio oriente. Lo Stato islamico è peggio del nazismo”.

 

Come suggerito da Pascal Bruckner in un saggio profetico che trovate oggi nel nostro giornale, continuare a rifugiarsi nel senso di colpa dell’uomo bianco rischia di avere un effetto drammatico. Rischia di non rendere giustizia ai martiri uccisi per la loro fede, sostenendo che un prete ammazzato con un taglio alla gola sia la stessa cosa di una suocera colpita con uno schiaffo. Rischia, soprattutto, di far abbassare ancora di più le difese immunitarie di un’Europa secolarizzata, cavalcando l’illusione che la forza immobile del silenzio e della negazione possano essere utili per difenderci da una guerra che gli islamisti hanno lanciato spinti non dall’odio contro il neoliberismo imperante ma dall’odio contro il simbolo della più grande religione dell’occidente: il cristianesimo.

  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.