Il leader del Labour Party, Jeremy Corbyn (foto LaPresse)

La sfida tutta a sinistra che non agita Corbyn

Paola Peduzzi
Inizia la contesa per la leadership del Labour inglese. La “soft left” dello sfidante Owen Smith.

Roma. Il leader del Labour britannico, Jeremy Corbyn, ha lanciato ieri la sua campagna per tenersi il posto e aveva l’aria fiduciosa e persino divertita – ha riso alle battute di un giornalista, non succede mai – di chi non teme affatto di essere spodestato. Il confronto all’interno del partito è iniziato dopo lo scossone della Brexit, con una serie di dimissioni a catena dal governo ombra e un voto di sfiducia schiacciante e umiliante (più di due terzi dei parlamentari laburisti ha sconfessato Corbyn) che non ha minimamente scalfito le certezze del leader ma ha fatto sembrare possibile un golpe interno. Quell’attimo è fuggito, Corbyn è stato furbo e zitto, ha lasciato che i suoi attivisti scendessero in piazza a difenderlo e che i suoi rivali si litigassero il posto di sfidante, e così a oggi tutto fa sembrare che anche questo golpe fallirà: Owen Smith, che ha scalzato Angela Eagle come prima scelta per lo scontro con Corbyn, non ha né il sostegno né la tenacia per vincere.

 

Il verdetto di questa sfida estiva si saprà entro il 24 di settembre, e tutto può ancora cambiare, ma il vantaggio di Corbyn oggi è palpabile: un sondaggio YouGov condotto su un migliaio di laburisti dà il leader oltre il 50 per cento dei consensi con Smith al 35. Soprattutto, negli ultimi giorni c’è stata una corsa a registrarsi al Labour – 140 mila nuovi iscritti, ognuno dà 25 sterline: il Partito conservatore ha in tutto 150 mila iscritti – e questa mobilitazione pare che sia tutta a sostegno di Corbyn. Non si può sapere, in realtà: anche la campagna anticorbyniana, “Saving Labour”, è molto attiva, si è provato a trasferire nei minicomizi e sulla rete lo scontro tra le due anime del partito, sperando di trovare fuori dal palazzo quella mediazione che dentro sembra impossibile.

 

Però i commentatori dicono che la mobilitazione sembra pendere a favore di Corbyn e della sua leadership, anche perché il movimento che lo sostiene, Momentum, sta vivendo la sua estate di gloria: sull’onda del referendum fallito, a Londra in particolare, si protesta in continuazione, e lasciando intendere che l’ipotesi di un secondo referendum non sia così implausibile, il Labour corbyniano è riuscito a unire due cause, quella europeista e quella della leadership, creando un’enfasi inedita. L’opportunismo sulla Brexit non è destinato a dare grandi frutti: il premier Theresa May, che ha iniziato il suo tour europeo per un divorzio “amichevole”, sta già negoziando la Brexit; i dati pubblicati due giorni fa dalla Banca d’Inghilterra non contengono nulla del catastrofismo anti Brexit che ci ha riempito di ansie e incertezze (anche se i dati veri arriveranno a settembre, nessuno si sogna di cantare vittoria oggi); la Brexit insomma si farà, difficile immaginare che l’ipotesi di un secondo referendum diventi realtà. Ma sulla leadership, Corbyn potrebbe non avere troppi problemi.

 


Il candidato alla guida del partito laburista, Owen Smith (foto LaPresse)


 

Ieri il leader del Labour non ha voluto dichiarare ulteriori guerre, anzi: ha teso una mano a quei laburisti che non lo possono sopportare. Se dovessi vincere, ha detto, uniamoci tutti e andiamo a vincere le elezioni. Allo stesso tempo però Corbyn ha scaricato pubblicamente un po’ del suo disprezzo per lo sfidante Owen Smith, che era il ministro del Lavoro ombra e si è dimesso quando è iniziato il fuggi fuggi post Brexit: Smith era venuto da me poco tempo fa, ha raccontato Corbyn, dicendomi che era felicissimo di fare il ministro e di lavorare nel mio esecutivo ombra, poi si è dimesso e mi sono sentito tradito. Però se vuole, quando vincerò, può tornare. Smith ha risposto che, quando vincerà, vorrà offrire a Corbyn il ruolo di presidente del partito, ma Corbyn è stato svelto a dire no grazie, se sono fuori sono fuori, ma tanto non lo sarò.

 

Owen Smith è un ex giornalista e producer alla Bbc che ha lavorato alla Pfizer e nel 2006 ha iniziato a dedicarsi alla politica nel governo ombra di Ed Miliband e in quello di Corbyn. Si definisce un “socialista democratico”, si colloca nell’ala sinistra del Labour, ma in modo “soft”, è considerato un corbynista un pochino più moderato che vuole rivendere la ricetta edulcorata del suo rivale. Diane Abbott, che assieme a Momentum è la più aggressiva tra i guardiani di Corbyn, ieri ha detto che Smith “non era uno scienziato a Pfizer, era un lobbista: i Tory hanno appena avuto un ex uomo delle pr e lobbista come leader: David Cameron”, vediamo noi del Labour di non fare lo stesso. Sempre a causa della Pfizer, Smith è finito in un altro momento di imbarazzo, che secondo molti ha sottolineato “un’insopportabile ingenuità”: durante la trasmissione “Good Morning Britain”, l’anchorman Piers Morgan gli ha chiesto se ha mai provato il Viagra (prodotto della Pfizer), lui ha detto di non voler rispondere e la spalla di Morgan, Susanna Reid, ha commentato: “Pensavo che avrebbe detto un secco no”, costringendo Smith a precisare: “Era una battuta, io e mia moglie non abbiamo mai provato il Viagra, non ne abbiamo bisogno”. Eccolo qui il corbynista light che non ha ancora iniziato ed è già in difficoltà.

  • Paola Peduzzi
  • Scrive di politica estera, in particolare di politica europea, inglese e americana. Tiene sul Foglio una rubrica, “Cosmopolitics”, che è un esperimento: raccontare la geopolitica come se fosse una storia d'amore - corteggiamenti e separazioni, confessioni e segreti, guerra e pace. Di recente la storia d'amore di cui si è occupata con cadenza settimanale è quella con l'Europa, con la newsletter e la rubrica “EuPorn – Il lato sexy dell'Europa”. Sposata, ha due figli, Anita e Ferrante. @paolapeduzzi