Musulmani in preghiera (foto LaPresse)

Il grande assalto islamista all'Europa assuefatta. Forum

Giulio Meotti
Intellettuali americani su un continente che chiede solo di “morire in pace”. Parlano Thornton, Weigel, Berman e Novak.

Roma. “Non riesco a cancellare dalla mia memoria le esplosioni dei due aerei che si schiantano contro le Torri gemelle di New York e la perdita di vite americane a Washington, tra cui quella di una mia cara amica, la giornalista Barbara Olson”. Si apre così, legando gli 84 morti di Nizza ai tremila americani, la conversazione con il Foglio di Michael Novak, filosofo, politologo ed ex ambasciatore americano al Consiglio dei diritti umani di Ginevra. “Mai quanto oggi, dalla Seconda guerra mondiale, l’occidente è stato senza guida. Ma in occidente, il fuoco della libertà arde nel cuore. E quando gli occidentali ne hanno avuto abbastanza, alcuni hanno cominciato a soffiare sulla brace facendo ardere di nuovo la brace. Non è l’ora di questo ‘abbastanza’? Sta agli occidentali decidere se vivere liberi o cadere prostrati. E’ sempre possibile che gli occidentali spengano la propria luce interiore. Ma soltanto loro possono farlo”. Già, che destino ha di fronte l’Europa e come ci siamo arrivati? Ne parliamo con quattro fra i massimi intellettuali americani.

 

“Oggi non c’è alcuna volontà politica di fare la guerra all’Isis”, dice al Foglio Bruce Thornton, docente di Studi classici alla California State University, affiliato al pensatoio di Stanford, la Hoover Institution, liberale straussiano autore di “Greek Ways: How the Greeks Created Western Civilization” e di “Bonfire of Humanities”. “Richiederebbe centomila soldati, il massiccio bombardamento per eliminare i jihadisti, l’abbandono di regole di ingaggio che privilegiano le vite del nemico alle nostre, essere in grado di rispondere alla critica globale sulle vittime civili, aumentare la sorveglianza e le deportazioni e chiedere pubblicamente che le comunità musulmane in occidente sconfessino il jihadismo e la sharia”. Ma secondo Thornton, al di là dei mezzi da dispiegare, è culturale l’afasia. “Il prestigio dell’occidente è a brandelli, perché i nostri alti ideali sono visti come debolezza dai jihadisti e come segni di corruzione religiosa e mancanza di qualsiasi altro bene superiore che non sia il nostro piacere. Non scompariremo in guerra, ma noi e i nostri figli, supponendo che ne avremo ancora, passeremo attraverso una lenta erosione della nostra libertà e cederemo sempre più della nostra civiltà al Califfato”.

 

Bruce Thornton ritiene che la democrazia possa non farcela, come ha appena detto Michel Houellebecq dal palco di Collisioni a Barolo. “Il jihadismo in Francia sta prendendo piede”, sostiene l’autore di “Sottomissione”. “I jihadisti, come ci dicono da secoli, vogliono tornare alla gloria dell’islam, quando l’Europa tremava di fronte agli eserciti di Allah”, prosegue Thornton. “Il loro obiettivo è il discorso d’addio di Maometto: combattere gli uomini fino a che non diranno che ‘non c’è altro dio che Allah’. Naturalmente capiscono che non possono raggiungerlo militarmente. Ma possono realizzarlo con un’erosione della nostra volontà in modo che cediamo sempre di più della nostra civiltà al controllo musulmano. E’ questo il ‘Grande Jihad’, come i Fratelli musulmani lo chiamano, e questo è a buon punto, specie in Europa”. Possono vincere? “Non se provocano una reazione di tutti quei milioni di europei derisi dalle élite europee, gli ‘xenofobi’, i ‘fascisti’. Non se questi sapranno eleggere leader che ridaranno vigore alla politica estera, investiranno nella difesa, celebreranno i successi della civiltà occidentale e smetteranno di compiacere i musulmani. La domanda è: questa reazione eroderà le fondamenta liberali dell’occidente, una volta che il genio sarà uscito dalla bottiglia? Noi occidentali dobbiamo fare come Churchill dopo la Conferenza di Monaco, quando disse di ‘sollevarsi e riprenderci la libertà come ai tempi antichi’”.

 

Potrebbe l’Europa sopravvivere a un disimpegno americano, avviato da Obama e minacciato anche da Trump? “Solo se ricordasse la propria gloriosa storia e cultura, smettendo di fare i ‘pigmei militari’, come ha detto il capo della Nato Lord Robertson”, continua al Foglio Bruce Thornton, classicista della California State University. “Sotto Obama, gli Stati Uniti hanno tagliato la spesa militare, revocato la leadership da tutto il mondo, e perseguito una politica estera basata sulla debolezza, il tutto incipriato con il pensiero magico dell’‘impegno diplomatico’, gesti futili che il nemico giudica a ragione come un segno di debolezza e paura. Lo scopriremo nei prossimi anni se la maggioranza dei cittadini statunitensi vuole essere come l’Europa. In tal caso, chi andrà a sostituire gli Stati Uniti come il custode dell’ordine globale? La Russia? La Cina? In questo momento l’occidente piagnucola, tiene veglie per i morti e piange invece di mostrare la rabbia giusta. Chi si ricorda di Charlie Hebdo? Abbiamo appena cambiato canale”.

 

Non è d’accordo Paul Berman, intellettuale della New Left, autore di “Terrore e liberalismo” (Einaudi). Berman parla di Obama. “Ci sono due presidenti”, dice Berman al Foglio. “Quello di giorno che scrive discorsi e si presenta in termini pensati per non suscitare emozioni o aumentare le aspettative di nessuno. Quando invia messaggi in Europa, Obama lo fa come se fosse il presidente del Paraguay. Egli vuole bene all’Europa. Ma Obama capisce che l’America è abbastanza forte per assorbire i colpi, e il resto del mondo dovrà cavarsela. Ecco perché, quando la Francia subisce una atrocità terroristica, il giorno dopo Obama manda le condoglianze a Hollande, invece di inviare rassicurazioni pubbliche al popolo francese. Buona fortuna, amici!”.

 

Vi è poi un Obama notturno: “Non ha alcuna relazione con la personalità umile e schiva del giorno. La notte Obama è il capo della Cia dagli occhi freddi. Egli ordina attacchi militari in molti più paesi rispetto a George W. Bush. I suoi droni assassinano capi terroristi dal nord Africa al Pakistan. Sarebbe facile immaginare un altro presidente americano che faccia di più, e a mio avviso sarebbe bene. E tuttavia la campagna militare contro lo Stato islamico sembra aver compiuto progressi significativi, visibili in Iraq e Siria, e forse anche in Libia. Perché Obama non rende la sua personalità timida di giorno conforme a quella aggressiva di notte? Non riesco a spiegarlo, se non supponendo che, nel profondo del suo cuore, Obama sia in conflitto e che abbia risolto il conflitto interiore vivendo una doppia vita. La sua doppia vita ha creato una percezione sbagliata per cui l’America sembra intenzionata a ritirarsi dall’Europa e dal mondo. Il ritiro non sta avvenendo. Quindici anni dopo l’11 settembre, siamo ancora nel bel mezzo della lotta. Obama ha commesso l’errore di permettere che le proprie confusioni diventassero visibili. Ma l’alleanza occidentale ha sconfitto il fascismo, ha sconfitto il comunismo, e alla fine sconfiggerà gli islamisti”.

 

Anche secondo George Weigel il problema dell’occidente è nel comprendere chi ha di fronte. “La mancanza di volontà di nominare questa minaccia per quello che è va considerata parte del problema della incapacità dell’occidente di affrontare la minaccia con successo, sconfiggendola”, dice al Foglio Weigel, acclamato biografo di Karol Wojtyla e considerato uno dei più influenti e ascoltati intellettuali cattolici degli Stati Uniti. “Se l’occidente non è disposto ad affrontare il fatto che è stato il ritiro della propria potenza militare da Iraq e Afghanistan ad aver creato il vuoto da cui è emerso il veleno dell’Isis, non ci sarà risposta soddisfacente alla minaccia islamista o alla crisi dei rifugiati che paralizza l’Europa. Il presidente Obama, naturalmente, ha la responsabilità maggiore per questo ritiro e per il conseguente vuoto riempito dall’Isis, e ciò che è ancora peggio è stata la sua mancanza di volontà di imparare dagli errori”. Dieci anni fa, Weigel fu uno dei primi a inquadrare il conflitto interno all’Europa nel best-seller “La cattedrale e il cubo”. Dove il Cubo è La Grande Arche de la Défense, l’edificio voluto a Parigi da Mitterrand come monumento alla laicità, mentre la Cattedrale è quella cattolica di Notre-Dame.  

 

 

“Quando ho provato a discutere di questi problemi morali e culturali con gli europarlamentari a Bruxelles, mi è stato detto, in poche parole: ‘Non venire qui a provocare, sappiamo che siamo finiti, ma preferiamo morire in pace’”, continua Weigel al Foglio. “Questo messaggio mi ossessiona fin da allora. Se l’Europa e l’occidente in generale ridurranno la libertà a mero arbitrio personale – la ‘Repubblica del Me’ – allora non c’è motivo di pensare che andremo a resistere con successo alla sfida esistenziale posta dai jihadisti dell’islam. O a risolvere i nostri molteplici problemi. O a invertire un inverno demografico auto-indotto. Sarebbe utile che i leader della chiesa cattolica in tutta l’Europa occidentale si concentrassero su tali questioni piuttosto che perdere tempo a stabilire la morale sessuale cattolica e l’etica del matrimonio. La crisi morale della civiltà in Europa è, in fondo, una crisi di un secolarismo inacidito in un nichilismo e in uno scetticismo che alla fine producono ciò che il cardinal Joseph Ratzinger ha chiamato nel 2005 la ‘dittatura del relativismo’. La decadenza spirituale e intellettuale, a quanto pare, è invalidante per la civiltà come la decadenza materiale”.

 

Secondo Weigel, il problema è anche ormai una incapacità europea nel giustificare una eventuale guerra al terrore islamista. “L’occidente ha bisogno di giustificare i propri impegni verso la democrazia liberale. Questo è il presupposto assoluto per la difesa della democrazia liberale. E sembra ormai chiaro che la licenziosità nelle sue varie forme non fornisce tale giustificazione. La visione biblica della persona umana e quella della società umana sono tra i fondamenti culturali dell’occidente e, a meno che non venga recuperata, l’occidente è nei guai. Stiamo andando verso un periodo molto difficile. La mancanza di leadership politica in tutto l’occidente – e certamente includo gli Stati Uniti in questa accusa – è assolutamente spaventosa. Abbiamo bisogno di una figura come quella di Giovanni Paolo II per recuperare le parti più nobili del nostro patrimonio culturale, compreso l’impegno per la tolleranza e il pluralismo, e quindi ricostruire le democrazie su basi forti. Democrazie che sanno che possono e devono sconfiggere l’islamismo terrorista”.

 

Più ottimista l’altro intellettuale cattolico di fama, Michael Novak: “Ricordiamo come questi eventi sono iniziati”, dice  al Foglio. “Nel 631, gli eserciti di Maometto con la loro nuova religione guerriera stavano convertendo il mondo intero con la forza. Damasco, Beirut, Gerusalemme, Alessandria, Il Cairo, Tunisi, Casablanca, Toledo, Navarra… In meno di cento anni, le truppe di Maometto avevano conquistato l’intera sponda meridionale d’Europa, attestandosi a Poitiers, in Francia. L’Europa ha avuto il coraggio di combattere sotto la guida di Carlo Martello. Da allora in poi, per centinaia di anni, le navi musulmane sono scese nell’Europa meridionale e lungo tutta la costa d’Italia. L’Europa è stata lenta a reagire anche allora. La volontà, la morale e la tecnologia superiore hanno dato all’occidente le brillanti vittorie difensive a Malta (1565), Lepanto (1571), e poi a Vienna (1683). Solo allora una lunga pace è scesa sul Mediterraneo. No, noi occidentali non siamo ‘condannati’. Abbiamo i mezzi e le conoscenze per difendere ciò che amiamo. Abbiamo la libertà. Quello che ci manca è un leader. E’ un grande vuoto. Quando gli Stati Uniti depongono le armi, l’occidente è senza leader. Solo gli Stati Uniti hanno il potere di correre il rischio. Quale altra nazione ha il potere di farlo?”.

 

Novak incolpa il welfare state europeo per la demoralizzazione diffusa. “Senza la libertà, l’esistenza umana è inutile, vuota, il nulla. Come Franklin Roosevelt ha previsto nel 1935, uno stato sociale eccessivo snerva milioni di cittadini. Diventano assuefatti a prendere, mai a dare; a ricevere passivamente, senza creare. Diventano sempre più dipendenti dagli altri, meno responsabili, incoraggiati a vivere una mezza vita”.  Ma Novak non crede affatto che in occidente siamo più “decadenti” rispetto ai musulmani. “Vedo molte prove del contrario. Una civiltà superiore non ispira terrore, non usa la conversione forzata, non mette il coltello alla gola di persone di altre religioni dicendo loro: ‘Convertitevi o morirete’. Queste possono essere perversioni dell’islam; ma non sono certamente ragioni per rivendicare una virtù morale superiore”. Secondo Michael Novak, il nerbo che l’occidente ha perso è culturale: “Gli eserciti romani dell’antichità non erano cristiani, ma erano coraggiosi, audaci, avevano fiducia nel significato della loro civiltà, nella ragione e nella legge. Al contrario il nostro ‘illuminismo’ non può sopportare la realtà di essere giudicati se non per se stessi. L’unico modo per sbarazzarsi del giudice è quello di sbarazzarsi del giudizio, cioè, di trasformarlo nella perdita di significato: il nichilismo. Sulla base del nichilismo, come Albert Camus ha sottolineato, il nazismo era giustificato e quindi i crimini del comunismo. Il nichilismo, il relativismo, questi sono la resa dell’occidente. Questi sono l’ammissione di inutilità dell’occidente”.

 

Molte volte, il cristianesimo è venuto in soccorso dell’Europa in crisi. Saprà farlo di nuovo? “In Italia lo fece nel prevenire la vittoria del comunismo nelle elezioni degli anni Quaranta; in Russia lo fece quando Stalin riaprì le chiese e aperto la strada al potere interiore delle vecchie donne con i loro libri di preghiere; nei monasteri benedettini che sorsero in Italia e hanno salvato i grandi classici di Atene e di Roma riproducendo centinaia di manoscritti che altrimenti sarebbero andati perduti. E senza Giovanni Paolo II, il Grande, come avrebbe potuto il comunismo essere pacificamente cacciato via dalla Polonia? Non è necessario diventare cristiani al fine di riconoscere i nostri debiti verso la fede cristiana. Tutto ciò che serve è l’onestà. Come quando la cristianità è andata in soccorso dell’Italia sopraffatta dalla flotta turca, con la vittoria a Lepanto, che ha evitato che la lingua italiana venisse sostituita da quella turca”.

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  • Giulio Meotti
  • Giulio Meotti è giornalista de «Il Foglio» dal 2003. È autore di numerosi libri, fra cui Non smetteremo di danzare. Le storie mai raccontate dei martiri di Israele (Premio Capalbio); Hanno ucciso Charlie Hebdo; La fine dell’Europa (Premio Capri); Israele. L’ultimo Stato europeo; Il suicidio della cultura occidentale; La tomba di Dio; Notre Dame brucia; L’Ultimo Papa d’Occidente? e L’Europa senza ebrei.