Dopo l'attentato di Nizza è l'ora del cordoglio. Molte persone hanno deposto fiori e acceso candele anche davanti all'ambasciata francese a Londra (foto LaPresse)

L'illusione di poter difendere la nostra libertà con la forza immobile della pace

Claudio Cerasa
Oltre je suis Nice. Capire che l’Europa è come Israele è il primo passo per combattere il disegno razionale dei terroristi islamici – di Claudio Cerasa

Il giorno dopo lo diciamo tutti ed è giusto ripeterlo anche oggi. Je suis Charlie, certo. Je suis Bataclan, ci mancherebbe. Je suis Nice, certo che sì. Lo siamo tutti, ovvio. Ma in definitiva, andando al nocciolo della questione, chi dall’Italia osserva oggi con orrore i successi dell’internazionale dell’integralismo islamista può davvero dire con consapevolezza oui, je suis conscient? Diceva Winston Churchill che la persona conciliante è una persona che nutre un coccodrillo nella speranza che questo lo mangi per ultimo e da un certo punto di vista l’immagine conciliante che l’occidente offre quando si ritrova a fare i conti con i successi del coccodrillo jihadista è la stessa fotografata da Churchill. Vale per l’Italia ma vale anche per tutto il resto d’Europa. I più coraggiosi (Manuel Valls) dicono che siamo in guerra e che il terrorismo è una minaccia per la nostra vita e che dobbiamo convivere con questa nuova condizione di terrore permanente. Ma un minuto dopo l’ormai consueta strage (solo nell’ultimo anno, 84 morti a Nizza, 281 a Baghdad, 49 a Orlando, 72 a Lahore, 35 a Bruxelles, 18 in Costa d’Avorio, 12 a Jakarta, 45 a Istanbul, 14 a San Bernardino, 130 a Parigi, 103 ad Ankara, 145 in Nigeria tra Maiduguri e Monguno, 38 a Sousse, 38 a Tunisi, altri 17 a Parigi, 3 a Sydney, 224 in Egitto, 137 in Yemen) siamo tutti pronti ad affermare che la guerra non ci cambierà, che i terroristi non trasformeranno le nostre vite e che nessuno di noi regalerà la nostra libertà ai tagliagola islamici.

 

Quello che l’occidente spaccia per un punto di forza (resistere, resistere, resistere) alla lunga rischia però di trasformarsi in un dramma che coincide con una condizione di resa. E non comprendere che la guerra deve necessariamente cambiare le nostre vite, illudendoci per esempio che le azioni portate avanti dai terroristi siano solo frutto di una “follia omicida” (Papa Francesco) e non invece frutto di un’ideologia islamista che arma i jihadisti abbeverandosi ai passaggi più violenti del Corano, significa vivere nell’illusione che la libertà dell’occidente si possa difendere con la forza immobile della pace. Nella nostra testa, i terroristi sono dei folli che agiscono in modo irrazionale spinti da una incomprensibile follia omicida e non da una lucida e programmatica razionalità e il nostro istinto naturale di difesa (il terrorismo non ci cambierà) è insieme un punto di forza (continuiamo a vivere) ma anche di debolezza. E in questo senso, la dinamica della strage di Nizza ci dice qualcosa di importante rispetto al rapporto tra l’uomo occidentale e il coccodrillo jihadista. In Israele, in un paese che ogni giorno dell’anno si muove sapendo che in un qualsiasi istante della giornata potrebbe spuntare fuori da ogni angolo un fondamentalista islamico pronto a colpire al cuore la libertà di un ebreo di essere ebreo, quando si organizza un evento in strada con molte persone si blocca quella strada mettendo di traverso alcuni pullman all’inizio e alla fine del percorso. Sono misure di sicurezza basilari ormai di dominio pubblico tra le forze dell’ordine israeliane ma sono misure che si applicano quando vi è una consapevolezza che in Israele c’è e in Europa ancora no: vivere a contatto con i fondamentalisti islamici che sognano ogni giorno di colpire al cuore la libertà di un occidentale di essere occidentale.

 

L’Europa oggi è come Israele ma finge misteriosamente di essere su un altro pianeta. E pur ammettendo che siamo in guerra continuiamo a far finta di nulla e continuiamo a comportarci come se in guerra ci fosse soltanto il nostro nemico, il coccodrillo, e come se quello che stiamo vivendo in questi giorni fosse semplicemente un attacco di un qualche pazzo omicida, non invece una guerra mondiale combattuta contro il mondo libero (Parigi, Bruxelles, Tunisi, Orlando, Dacca, Nizza) da parte dei fondamentalisti dell’Islam. In una celebre e profetica intervista rilasciata nel 2014 da Bibi Netanyahu alla tv francese, il capo del governo israeliano, quando il je suis Charlie e il je suis Bataclan erano ancora lontani, disse che la battaglia di Israele contro il fondamentalismo di matrice islamista non è soltanto la battaglia di Israele contro chi minaccia la sua esistenza ma è il simbolo della battaglia dell’occidente che prova ogni giorno a difendere il diritto a essere libero e non sottomesso ai precetti del fondamentalismo. “Se noi non stiamo insieme, questi attacchi terroristici arriveranno da voi. It will come to you, it will come to France”. Non rinunciare a vivere la nostra quotidianità è doveroso ma per dimostrare che l’occidente è più forte di chi semina qualsiasi forma di odio contro un occidente libero che gli islamisti vorrebbero distruggere con la violenza e il lucido assassinio di vittime innocenti è necessario osservare il nemico negli occhi, conoscerlo, combatterlo, distruggerlo.

 

E’ necessario ricordarsi che chi relativizza certe azioni (i terroristi che tagliano la gola ai bambini israeliani) involontariamente legittima tutte le altre ed è necessario anche opporsi a tutti i tribunali del popolo che vogliono trasformare la guerra in una questione morale e che non capiscono che il terrorismo si combatte esportando la democrazia, non allontanando la democrazia dai paesi dove prolifera il terrore. Vale per l’America, vale per l’Europa, vale per l’Italia, che nell’ultimo anno, pur essendo stata graziata sul suo territorio, ha sperimentato sulla sua pelle, con i nove morti di Dacca di pochi giorni fa e i quattro morti al museo del Bardo di Tunisi di un anno fa, cos’è il terrorismo islamista. Il problema è la sicurezza, certo, è il trasformare l’Europa e l’Italia, i suoi porti e le sue spiagge (le spiagge, le spiagge), in una grande Israele. Ma il punto dolente, oggi ma non solo oggi, è che non c’è piena coscienza della condizione che viviamo (dove sono in Italia gli Onfray e i Finkielkraut?) e come sempre, dopo un attacco terroristico, osservatori, politici e twittaroli progressisti (e non solo) proveranno a dimostrare che il problema della proliferazione del terrorismo dipende dagli errori dei servizi segreti, o magari dal gun control quando il terrorismo colpisce l’America, e lo faranno per la solita ragione: concentrarsi troppo sul jihad significherebbe non solo chiamare le cose con il proprio nome (islamismo radicale) ma significherebbe dover ammettere che la strategia più efficace per combattere il terrorismo riguarda più la politica estera che la politica di sicurezza nazionale. E per questo la guerra non finirà se l’occidente continuerà a difendere la sua libertà coprendosi dolcemente gli occhi per non guardare i passeggini insanguinati e mostrando con orgoglio solo i muscoli della pace. Je suis Nice. Mais je suis conscient?

  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.