Emmanuel Macron (foto LaPresse)

Il riformismo in un paese solo. Si può?

Giuliano Ferrara
Guardare Macron, cooptato di talento che assalta con garbo l’Eliseo, un’invasione di campo riformatrice, tra sogni giovanilistici e apertura ai mercati, e ritrovarsi a riflettere su limiti e chance del tentativo renziano.

Sembra Renzi, ma è diversissimo. Emmanuel Macron non vuole “rottamare” gli elefanti della sinistra e della destra, vuole “rifondare” le idee tradizionali e cambiare il paese, il suo scopo è ampliare l’offerta politica (o almeno così dice), intanto intende stare con il piede in due scarpe (così fa): ministro isolato nel governo socialista di Hollande e Valls, ma alternativo a entrambi e abbastanza popolare nel paese, alla testa di un movimento che ha fondato in aprile e si chiama con le sue iniziali EM, En Marche, naturalmente con il punto esclamativo, En Marche! (50 mila iscritti dichiarati).

 

In Italia è stata storia di un outsider che ha strappato a colpi di voto prima Firenze e poi il Partito democratico ai nostri Hollande eccetera (i Bersani e i D’Alema messi ai margini o rottamati). Il suo modello fu Berlusconi, il populista e outsider liberal-conservatore che dominava da vent’anni e aveva eliminato sulla strada di Renzi tutti i perdenti dell’antiberlusconismo di sinistra, tutti. Sua infine la rivoluzione scoutista-riformista che ha catturato e trasformato geneticamente il Partito democratico in una cosa nuova, non più postcomunista e postdemocristiana. Un’avventura già rivelatasi più fragile del prevedibile ma difficile da sradicare per chiunque.

 

EM tutto è tranne che un outsider, viene dal nido dell’establishment, ed è un cooptato di talento, uno che nessuno ha mai eletto da alcuna parte, bastavano le competenze di economista e finanziere. E’ un banchiere e un funzionario di successo, portato in politica e nelle istituzioni repubblicane dagli elefanti le cui idee vuole rifondare, uno che come il suo omologo italiano all’atto dell’ascesa o tentata ascesa non ha ancora quarant’anni. E promette cose analoghe: innovazione, riforme di mercato, apertura alla globalizzazione, adesione razionale al capitalismo finanziario, futuro per i sogni giovanilistici delle nuove couches professionali. E’ tra l’altro in competizione con il suo premier ministre, Manuel Valls, un rocardiano che lo detesta personalmente anche perché in larga misura pensa le stesse cose ma non può dirle fino in fondo (Michel Rocard è appena morto, era un leader socialista dal tono riformatore, statista apprezzabile ma politico poco concludente nella lotta per il potere e per il consenso). 

 

Martedì sera 12 luglio, Salle de la Mutualité, rue Monge, Parigi, Quartiere Latino: parlava, appunto, Emmanuel Macron. Una voce un po’ chioccia, non sembrava un trascinatore col fuoco nella pancia, non aveva niente di importante e definitivo da annunciare, continuava a fare marketing di sé stesso, atmosfera vagamente americana (in Francia si traduce: impopolare), town hall event, il leader tra la folla, le hostess e tutto il resto, giovanilismo, idee nuove cioè già viste: la sinistra della destra e la destra della sinistra, il partito della nazione che se ne sta al centro tra i dilemmi ideologici cornuti dell’asse droite-gauche. La Mutualité è il teatro politico fatale della gauche, da sempre, il luogo simbolico in cui anche Nicolas Sarkozy, destra neogaullienne, quando sembrava nuovo nuovo e faceva le sue ouvertures a sinistra di modernizzatore della Provvidenza, mise in scena a sorpresa una sua celebre performance, dieci anni fa. Macron è genere terzo, gender culture: né sinistra tradizionale né destra innovatrice, dicesi sinistra riformista modernizzatrice con idee economiche da mercati aperti, tradizionalmente classificate nella destra pragmatica, liberale (liberale in Francia è un insulto) o liberista. Ministro dell’Economia a Bercy dopo essere stato énarque (scuola di alta amministrazione pubblica), banchiere d’affari, segretario generale all’Eliseo con François Hollande, l’invasione di campo di Macron ha da qualche mese un tratto renziano, une allure renzienne, AAA trentottenne cerca posto al top per cambiare suo paese e affermare nuova generazione politica: sono storie analoghe ma molto diverse, come abbiamo accennato.

 

Vedremo. Stalin fu molto cattivo e criminogeno perché diceva di dover fare il socialismo in un solo paese, visto che nella Russia arretrata i bolscevichi avevano prevalso ma in Germania e nell’Europa occidentale erano stati schiacciati dalle socialdemocrazie e poi dai fascismi. Anche Renzi è percepito come cattivo, e criticato come personalità autoritaria (il che fa molto ridere), perché cerca di realizzare il riformismo in un solo paese, visto che a Londra c’è Corbyn, a Madrid svettano i Podemos (si fa per dire), in Grecia Tsipras alimenta miti e nasconde le pratiche del Fondo monetario internazionale e di Bruxelles sotto il tappeto dei sogni ideologici, in Germania la Spd è una sottomarca della Democrazia cristiana. Chissà che non arrivino novità dalla Francia, ma sono in pochi a vedere un Renzi francese in finale, pochissimi a scommettere sul suo eventuale esito.

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  • Giuliano Ferrara Fondatore
  • "Ferrara, Giuliano. Nato a Roma il 7 gennaio del ’52 da genitori iscritti al partito comunista dal ’42, partigiani combattenti senza orgogli luciferini né retoriche combattentistiche. Famiglia di tradizioni liberali per parte di padre, il nonno Mario era un noto avvocato e pubblicista (editorialista del Mondo di Mario Pannunzio e del Corriere della Sera) che difese gli antifascisti davanti al Tribunale Speciale per la sicurezza dello Stato.