Londra, Sir John Chilcot presenta il suo dossier sulla guerra in Iraq

Sette fatti che nessuno vi ha ancora detto sul report Chilcot

Redazione
Oltre alla guerra “sbagliata” e “privata”, due cose sulle non-bugie, sulle lettere d’amore e sulla Nigerbarzelletta.

Londra. Ci vorranno mesi prima di poter dire davvero cosa c’è scritto nel rapporto Chilcot, a parte i titoli sulla “guerra sbagliata” in Iraq o sulla “guerra privata” di Tony Blair e George W. Bush per rovesciare Saddam Hussein. Intanto alcune precisazioni che non sono state molto enfatizzate – per usare un eufemismo – nella copertura mediatica.

 

Saremmo comunque intervenuti, prima o poi. “Questo è un resoconto di un intervento militare che è andato molto male e che ha ripercussioni anche oggi. Un’azione militare in Iraq sarebbe stata necessaria a un certo punto, ma non la era nel 2003”, ha detto ieri Sir John Chilcot presentando i risultati dell’inchiesta sull’invasione in Iraq. Chiloct – con i suoi colleghi, le conclusioni sono unanimi – è convinto che nel 2003 la guerra non fosse necessaria e che fosse anzi sbagliata, ma ammette che la minaccia di Saddam e del suo arsenale avrebbe richiesto un intervento dall’esterno.

 

Oltre al whatever. “Sarò con te comunque, ma questo è il momento di affrontare senza giri di parole le difficoltà: pianificare questa missione e la strategia è l’attività più complicata ora”. Così scriveva nel 2002 Tony Blair a George W. Bush: la lettera d’amore incriminata è un’analisi dettagliata dei rischi, della necessità di una coalizione e di un’unità politica, del ruolo dell’Onu, della possibilità che i rischi si concretizzassero tutti, e tutti insieme.

 

Carteggi sull’Onu. Nel report ci sono molti carteggi tra il premier Blair e i suoi ministri sulla gestione dell’alleanza con gli Stati Uniti che facevano pressione per un intervento rapido. Tra tutti, l’allora ministro degli Esteri Jack Straw scrisse nel 2002 al premier: “Dobbiamo accordarci con Washington per un approccio con due risoluzioni, perché è la cosa più sicura da fare. Un approccio non-Onu sarebbe catastrofico per gli Stati Uniti e anche per noi”.

 

C’era una base legale. Il rapporto conferma che Lord Goldsmith, procuratore generale, aveva stabilito che ci fosse una base legale “oltre la risoluzione dell’Onu 1441”: “Lord Goldsmith concluse il 13 marzo del 2003 che, tutto sommato, la ‘visione migliore’ era che le condizioni per un’operazione erano raggiunte, e che c’era una base legale per l’uso della forza anche senza un’ulteriore risoluzione dell’Onu”.

 

Nessuna bugia al governo. Secondo Chilcot, “il governo non  è stato ingannato dal primo ministro e gli scambi di lettere tra Downing Street e il procuratore generale non costituiscono un ‘patto segreto’”.

 

Nessuna manipolazione dell’intelligence. Benché ancora oggi si scriva che Tony Blair ha ingannato il suo governo e l’opinione pubblica sulle armi di distruzione di massa, il report Chilcot stabilisce che “non c’è alcuna prova che le informazioni di intelligence fossero incluse in modo improprio nel dossier (presentato al Parlamento, ndr) o che il governo abbia in qualche modo influenzato il testo”.

 

Il Nigergate che non lo era. Mentre scoppiava il caso delle fonti di intelligence esagerate in Iraq – le armi di distruzione di massa che non c’erano – Repubblica lanciò il “Nigergate”: secondo le sue fonti, i servizi italiani pilotati dal governo Berlusconi avevano fornito a Washington la falsa prova sull’acquisto di uranio nigeriano da parte di Saddam per aiutare a giustificare l’invasione dell’Iraq – cioè l’Italia era complice se non regista della bufala delle armi di distruzione di massa. Come ha raccontato a lungo il Foglio, quella notizia era falsa perché gli americani, come aveva detto lo stesso Bush nel discorso sullo stato dell’Unione, facevano riferimento a prove fornite dal governo britannico. Del resto la ricostruzione italiana era già stata smentita da inchieste (quella Butler, nel Regno Unito), da commissioni del Congresso americano, libri di memorie, inchieste di giornalisti e così via. Anche Chilcot lo conferma: “I documenti falsificati non erano disponibili presso il governo inglese al momento in cui fece le sue dichiarazioni. Il fatto che ci fosse un falso non ha cambiato le dichiarazioni del governo sull’uranio del Niger”.