L'ex segretario di stato americano Henry Kissinger

Dopo la Brexit, l'Europa ha bisogno di un "atto di identificazione collettivo", dice Kissinger

Redazione
Scrive l'ex segretario di Stato americano Henry A. Kissinger sul “Wall Street Journal”, il metro di paragone di uno statista dovrebbe essere “la sua capacità di trasformare una sconfitta in un’opportunità”.

La cascata di commenti e analisi seguite al referendum britannico per l'uscita dall'Unione europea ha attinto perlopiù al vocabolario delle catastrofi. Eppure, scrive l'ex segretario di Stato americano Henry A. Kissinger sul “Wall Street Journal”, il metro di paragone di uno statista dovrebbe essere “la sua capacità di trasformare una sconfitta in un’opportunità”. L'impatto del referendum sulla Brexit, spiega Kissinger, è così vasto perché "l'approccio multilaterale (incarnato dall'Ue, ndr) basato sull'apertura dei confini al commercio e al movimento delle persone è sempre più contestato.

 

Ora un atto di democrazia diretta ha voluto ridefinire lo status quo”. Per quanto possa essere difficile prendere atto di questo sentimento popolare, avverte Kissinger, “ignorarne le espressioni non farà che condurre a forme ancor più gravi di disillusione”. I fondatori del progetto unitario europeo “comprendevano il fine ultimo del loro progetto”: si trattava, da una parte, di rigettare le peggiori conseguenze delle divisioni europee, in particolare le traumatiche guerre che avevano ucciso decine di milioni di persone soltanto nel Ventesimo secolo. Ma anche di “affermare i valori che avevano reso grande l'Europa”. L'Europa della giovinezza dei suoi fondatori “era prosperata tramite la maturazione degli Stati nazionali, che da un lato competevano tra loro per la preminenza, ma dall'altro erano evoluti in un retaggio culturale comune” con i suoi principi di "democrazia e costituzionalismo".

 

Oggi, accusa Kissinger, "troppo di quell'Europa è assorbito dalla gestione manageriale di problemi strutturali, anziché dall'elaborazione di finalità". L'Europa, insomma, sta fagocitando le proprie identità anziché farne un motore di progresso. E così, “ha visto indebolirsi la propria capacità di sacrificio. Un futuro migliore non può essere raggiunto senza sacrifici nel presente. E una società incapace di accettare questa verità si condanna alla stagnazione, sino a consumare la propria stessa sostanza nel corso di decenni”. È così, scrive Kissinger, che in Europa è andata progressivamente formandosi l'attuale frattura tra le istituzioni e le loro responsabilità, e la conseguente ascesa delle pressioni populiste". In un mondo dilaniato dai conflitti identitari e di valori, l'Europa avrebbe bisogno "di un atto di identificazione collettivo". L'Ue non è stata in grado di condurre questo processo, e ora si trova a dover gestire l'addio di uno dei suoi principali paesi membri.

 

L'unico modo che l'Ue ha per sopravvivere, e tener fede allo spirito che ne ha ispirato il progetto, è "di non trattare il Regno Unito come un evaso, ma come un compatriota". Punire il Regno Unito, avverte Kissinger, "non risolverà il quesito di come gestire una moneta comune senza una politica fiscale comune, e tra paesi dalle più disparate capacità economiche. Né risolverà il problema di come definire un'unione con strategie politiche comuni gravemente arretrate rispetto alle sue capacità amministrative e gestionali". Anche il Regno Unito, però, "dovrebbe intendere il principio di autonomia votato dai suoi cittadini in modo da abbracciare la cooperazione". Negli ultimi anni, conclude Kissinger, l'Europa si è ritirata dalla conduzione del soft power, ma "l'unico modo che ha di non divenire una vittima delle circostanze è di tornare ad assumere un ruolo più attivo". La Brexit ha catalizzato le ansie di due continenti, ma "la necessaria restaurazione della fiducia non può venire dalle recriminazioni. Per ispirare fiducia al mondo, Europa e America devono prima dimostrare fiducia in se stesse".