Michael Gove e Boris Johnson (foto LaPresse)

AAA Cercasi leader a Londra

Se la sfida dei Tory è tra Gove e May, dalla Brexit non si torna più indietro

Paola Peduzzi
Boris Johnson non si candida più, è crisi nel “dream team” anti Ue che aveva costruito con il ministro della Giustizia

Londra. L’intellettuale si è tolto la maschera e dopo aver ripetuto per mesi di non essere all’altezza del ruolo di premier, di essere nato per fare il suggeritore, eccolo qui: Michael Gove, ministro della Giustizia inglese sostenitore della Brexit, si candida alla successione di David Cameron, premier dimissionario. In compenso, Boris Johnson, ex sindaco di Londra, che non ha mai nascosto la sua smania di entrare a Downing Street, che adora la ribalta, che aveva già un team e un foglio con scritti i parlamentari che stavano con lui (tanti), non si candida più. Non c’era posto per entrambi, nella successione: Gove e Johnson erano un “dream team”, i due volti della battaglia per la Brexit, prima freddini uno con l’altro poi sempre più vicini (si diceva che Gove non amasse molto Johnson, ma che questi mesi insieme lo avessero fatto ricredere), con ruoli ben distinti, Johnson alla guida, Gove ad aiutarlo. In questi giorni è stato il ministro della Giustizia a contattare i parlamentari per convincerli a dare il loro sostegno a Johnson. Da giovedì parla per se stesso, molti deputati sono passati con lui, così come molti consiglieri di Boris, e la sfida ora è contro Theresa May, ministro dell’Interno.

 

I commentatori increduli che hanno seguito la conferenza stampa in cui Boris Johnson ha annunciato la non-candidatura si dividono in due: chi cita “House of Cards” o “The thick of it” e chi Shakespeare, ma nessuno sa spiegare che cosa sia successo. I politici che sostengono Johnson, uscendo dal St Ermin’s Hotel dopo lo choc, si prestano alle richieste dei giornalisti ma provano a buttarla sul politologico, tanto per dire qualcosa: Johnson continuerà a impegnarsi per il suo progetto, per la sua visione di un “One nation conservatism”, cose così. Quando finalmente entra dal cancello il fratello di Boris Johnson, il ministro dell’Università e della Scienza Jo Johnson, che era per il “remain” ma che ha detto di sostenere Boris premier “nonostante sia mio fratello, non perché è mio fratello”, lo sciame degli increduli lo segue: lui saprà certamente dire qualcosa di convincente. Invece fa una battuta sul discorso che ha tenuto poco prima sul ruolo guida del Regno Unito nella scienza, “ma come non vi interessa, non siete qui per questo?”, e se ne va. Una fonte dell’entourage di Gove ha raccontato al Guardian che Johnson si è dimostrato fuori controllo e caotico, troppo improvvisato per essere credibile come premier, e che questo abbia convinto Gove ad andare per conto suo. Potrebbe aver contato anche l’incertezza dell’impero Murdoch e del Mail di Paul Dacre, entrambi poco convinti da Johnson.

 

Comunque sia, mentre gli adoratori del “dream team” si leccavano le ferite e capivano come riposizionarsi, Theresa May ha annunciato la sua candidatura: vuole unire il partito dopo la guerra referendaria ed è l’unica che può farlo essendo stata una sostenitrice del “remain” molto defilata (ha scelto come campaign manager uno che ha appena finito di fare la campagna per la Brexit). Facendosi un vanto della sua mancanza di socialità, la May ha spiegato il suo progetto: non vuole attivare l’articolo 50 del Trattato di Lisbona – quello che dà il via alla procedura di distacco dall’Unione europea – entro l’anno, nonostante le pressioni di Bruxelles e della altre capitali, e non vuole fare elezioni anticipate prima del 2020. “Brexit means Brexit”, ha detto la May, mettendo a tacere i cantori del rimpianto che da giorni si aggirano desolati tra Westminster e Fleet Street. Paradossalmente, Boris Johnson era risultato, dopo la vittoria al referendum, il più propenso ai compromessi con l’Ue, al punto che qualcuno si era convinto che con Boris magari il divorzio non ci sarebbe più stato. La May ha tolto il dubbio (su Gove non c’è mai stato) e con la sua candidatura sobria e seria e femminile ha voluto dare una lezione ai ragazzacci conservatori che da mesi non fanno che picchiarsi.

 

Martedì inizia il voto tra i parlamentari conservatori: ci sono 5 candidati – oltre ai già citati, Stephen Crabb, Andrea Leadsom e Liam Fox – e chi arriva ultimo allo scrutinio si ritira. Si va avanti così fino a che non ne restano due: le previsioni sono ormai bandite dal Regno Unito, ma se i finalisti dovessero essere May e Gove, la notizia per gli europei è che dalla Brexit non si torna più indietro, e forse anche dall’addio di Londra al mercato unico.

  • Paola Peduzzi
  • Scrive di politica estera, in particolare di politica europea, inglese e americana. Tiene sul Foglio una rubrica, “Cosmopolitics”, che è un esperimento: raccontare la geopolitica come se fosse una storia d'amore - corteggiamenti e separazioni, confessioni e segreti, guerra e pace. Di recente la storia d'amore di cui si è occupata con cadenza settimanale è quella con l'Europa, con la newsletter e la rubrica “EuPorn – Il lato sexy dell'Europa”. Sposata, ha due figli, Anita e Ferrante. @paolapeduzzi