Pride March - New York (foto LaPresse)

Dopo Orlando, il Gay Pride di NY contro Trump. L'Isis li sfotte, #lovewins

Giulio Meotti
New York, annuale parata dell’orgoglio gay. Quella di quest’anno, cui hanno preso parte ventimila persone, era molto speciale perché indetta dopo il più grande massacro di omosessuali nella storia americana e occidentale dai tempi del nazismo (Pulse Club, Orlando, 50 morti).

Roma. New York, annuale parata dell’orgoglio gay. Quella di quest’anno, cui hanno preso parte ventimila persone, era molto speciale perché indetta dopo il più grande massacro di omosessuali nella storia americana e occidentale dai tempi del nazismo (Pulse Club, Orlando, 50 morti). Ma a giudicare dagli slogan e dagli striscioni della parata di lunedì, il Gay Pride aveva trovato un altro assassino rispetto a quello indicato dall’Fbi. A uccidere non sarebbe stato Omar Mateen, l’islamista di origini afgane, il figlio di un simpatizzante dei Talebani, l’autoproclamatosi adepto dello Stato islamico. No, a uccidere tutti quegli omosessuali sarebbero stati i Repubblicani bigotti.

 

Lo striscione arcobaleno in testa alla sfilata di New York portava queste parole: “L’odio repubblicano uccide”, a rafforzare la narrazione ultra liberal post-Orlando secondo cui i conservatori, non gli islamisti, sono da biasimare per l’attacco terroristico, a causa della loro opposizione alle nozze gay (c’è da chiedersi dove li abbia portati tutto questo “Democrat Love”). E non importa che il terrorista fosse un democratico registrato e che non avesse alcuna affiliazione con il Partito repubblicano. Prima la Casa Bianca di Barack Obama ha detto che “siamo stati noi”, non il terrorismo islamico, ma la National Rifle Association è da biasimare per il salasso al Pulse. Poi è stata cavalcata la storia dell’omosessualità repressa di Omar Mateen. Infine, è arrivato lo slogan “Republican hate kills”.

 

Nelle stesse ore della marcia a New York, la consigliera comunale di Orlando, la lesbica Patty Sheehan, incolpava i politici repubblicani come Marco Rubio per la strage al Pulse. Dopo l’eccidio commesso a Mateen, il comitato editoriale del New York Times ha pubblicato un editoriale non firmato, che esprime la linea del giornale, in cui spiegava che i repubblicani “hanno creato un ambiente” che ha consentito al terrorista di agire.

 



Patty Sheehan (foto via Facebook)


 

Alcuni avvocati dell’American Civil Liberties Union, l’associazione liberal che si batte per i diritti civili, hanno invece detto che da biasimare erano i “conservatori cristiani” perché hanno “creato questo clima anti-queer”. L’avvocato dell’Aclu, Chase Strangio, ha dichiarato che “la destra cristiana ha introdotto duecento leggi anti-Lgbt negli ultimi sei mesi e la gente accusa l’islam per questo? No”. Jim Obergefell, protagonista della sentenza della Corte Suprema che ha legalizzato il matrimonio gay, ha detto che i leader politici e religiosi dell’America sono i veri responsabili di Orlando. “Ogni singolo politico, ogni singolo leader religioso, tutti coloro che ci hanno considerato meno che umani e non meritevoli di pari diritti, essi hanno la responsabilità di questo”, ha dichiarato Obergefell. Rappresentanti di Planned Parenthood, il provider di aborti in America, ha incolpato “l’imperialismo omofobo” e la “tossica mascolinità”.

 



L'Isis getta dal tetto quattro uomini accusati di essere gay. Twittano: #lovewins


 

E mentre Hillary Clinton, il sindaco Bill De Blasio e le celebrities in tiro marciavano dietro la bandiera arcobaleno e lo slogan “Repubblican hate kills”, dalla Siria lo Stato islamico diffondeva nuove immagini di esecuzioni di omosessuali.  Quattro uomini accusati di “liwat”, la sodomia, e gettati dai palazzi dell’Isis, per essere poi finiti dalle sassate della folla estasiata. Poi, riprendendo lo slogan usato tra gli altri da Obama dopo la sentenza della Corte Suprema degli Stati Uniti che ha dichiarato legale il matrimonio gay in base al quattordicesimo emendamento, l’Isis ha lanciato l’ashtag #LoveWins. Gli uomini in nero del Califfo ormai si fanno pure beffe delle brigate arcobaleno.

  • Giulio Meotti
  • Giulio Meotti è giornalista de «Il Foglio» dal 2003. È autore di numerosi libri, fra cui Non smetteremo di danzare. Le storie mai raccontate dei martiri di Israele (Premio Capalbio); Hanno ucciso Charlie Hebdo; La fine dell’Europa (Premio Capri); Israele. L’ultimo Stato europeo; Il suicidio della cultura occidentale; La tomba di Dio; Notre Dame brucia; L’Ultimo Papa d’Occidente? e L’Europa senza ebrei.