Jeremy Corbyn (foto LaPresse)

La disfatta delle sinistre alla Corbyn intrappolate nel suicida modello Piketty

Claudio Cerasa
Dal leader del Labour a Varoufakis fino a Iglesias. La storia recente dimostra che coloro che promettono di cambiare il mondo aumentando la spesa pubblica, alla conta definitiva, perdono.

Hanno perso in Spagna, con Podemos che alle elezioni arriva sempre tre, ma in realtà, i compagni scamiciati della sinistra bla bla bla, senza cravatta, senza appeal ma con molti utilissimi bignamini di Piketty nel taschino della giacca, stanno perdendo ovunque in giro per il mondo: in Grecia, con Alexis Tsipras che da campione della lotta contro la Troika è diventato tessera numero uno del partito della Troika, più o meno come il suo omologo in Portogallo, il premier socialista Antonio Costa; in Francia, con François Hollande che da campione della lotta al liberismo è diventato l’emblema di una sinistra costretta a non rinnegare il liberismo; in Inghilterra, con Jeremy Corbyn che si ritrova sotto assedio nel suo partito non per essere stato sconfitto sul Remain ma per essere risultato inadeguato nella veste di leader di lotta che prova a spacciarsi per leader di governo; negli Stati Uniti, con Bernie Sanders che dopo aver sedotto la sinistra occupy Wall Street, quella che piace alla gente che piace e che disprezza il “capitalismo imperante”, oggi si ritrova a sostenere Hillary Clinton e il suo partito di Wall Street; in Argentina, dove il partito del peronismo, guidato da Daniel Scioli, dopo dodici anni è stato sconfitto, a novembre, dal partito del liberismo di Mauricio Macri; senza pensare poi alla crisi senza fine del Venezuela ieri di Chávez oggi di Maduro e alle sconfitte alle comunali, in Italia, dell’allegra internazionale del pikettismo tricolore, con Fassina, Airaudo, Civati, Vendola e Possibile pronti ormai, non avendo molto altro da fare, a girare il mondo dietro alla moto del compagno Varoufakis.

 

Le allegre disavventure della sinistra rivoluzionaria ci dicono non tutto ma certamente qualcosa rispetto alle traiettorie future del mondo progressista. Ci dicono, prima di tutto, che il modello della lotta di classe, il socialismo rivoluzionario condito di pikettismo, marxismo, chavismo, anticapitalismo e antiglobalizzazione, è un modello che ha una sua dignità e un suo appeal (non a caso Hillary Clinton è tentata dal fare coppia fissa in campagna elettorale con Elizabeth Warren) ma semplicemente non funziona e non ha spazio politico in nessuna parte del mondo. Se scende in campo, di solito perde (Podemos). Se da posizioni anti sistema prova a diventare di sistema non risulta credibile (Corbyn). E se vince, una volta al governo, è costretto a fare il contrario di quel che ha promesso in campagna elettorale (Tsipras).

 

Dire che questo modello sia un modello perdente, naturalmente, non significa considerare necessariamente vincente il suo modello opposto (Renzi-Valls) ma significa quantomeno essere prudenti quando si scomunica una sinistra che prova a fare l’opposto della sinistra che vorrebbe stare al passo con i tempi di Papa Francesco. Ovvero: non farsi rubare terreno dalla destra conservatrice, valorizzare le virtù del capitalismo, sfidare la sinistra peronista, non demonizzare il capitale, combattere le diseguaglianze senza sputare sulla ricchezza, aprirsi il più possibile al mercato e rendersi conto che in un mondo con grandi debiti, in cui sono gli investitori a pagare i debiti sovrani, chi tratta il capitalismo come se fosse Belzebù può vendere qualche copia in più di un libro e può conquistare qualche copertina di giornale ma non può sottrarsi alla stessa fine fatta ieri da Corbyn in Parlamento, quando 172 deputati laburisti (contro 40) hanno sfiduciato in Aula il loro leader. Diceva Machiavelli che governare è prima di tutto far credere, e questo è vero. Ma se si fanno credere delle cose che non si possono fare non puoi che finire così: come Corbyn in Inghilterra, Varoufakis in Grecia, Iglesias in Spagna, Fassina in Italia. Per questo oggi le scelte sono due: o si sceglie la strada suicida dell’avanti il prossimo o si sceglie di andare avanti con un nuovo modello. Qualsiasi decisione è legittima. Sapendo però che la sinistra no global  che promette di cambiare il mondo aumentando la spesa pubblica alla conta definitiva finisce sempre così: no voti, no party, no tituli. E tanti saluti al compagno Piketty.

  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.