Il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite (foto LaPresse)

Così l'Italia si è preparata per conquistare oggi un seggio all'Onu

Daniel Mosseri

Il nostro paese corre contro Svezia e Olanda per un seggio al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite. Il fattore Mare Nostrum e il rapporto con il terzo mondo. Parla l’ex ambasciatore Francesco Paolo Fulci.

Il 28 giugno l’Italia va alla battaglia diplomatica contro Svezia e Olanda. I tre paesi corrono per i due seggi che il Consiglio di Sicurezza (CdS) delle Nazioni Unite mette a disposizione del gruppo “Europa occidentale e altri” per il 2017-2018. Votati a maggioranza dall’Assemblea generale, i vincitori si aggiudicheranno un biennio nell’unità di crisi della “Farnesina globale”, accanto a Usa, Russia, Cina, Francia e Gran Bretagna, membri permanenti inchiodati alle loro poltrone dal 1945.
A maggio il New York Times riportava brevi agenzie dei rappresentanti svedese, olandese e italiano. “Se eletti porteremo in Consiglio l’esperienza diretta delle situazioni in corso nella nostra area”, ha detto l’ambasciatore Sebastiano Cardi. Poco in apparenza rispetto ai toni roboanti degli olandesi o dello svedese Olaf Skoog, secondo cui Stoccolma merita il seggio perché “è il primo contributore pro capite alla cooperazione allo sviluppo”, ma abbastanza per mettere in difficoltà le due monarchie: i membri del CdS devono rispettare il principio della rotazione geografica e con tre parole Cardi ha costretto i due concorrenti nello stesso angolo nordico.

 

L’accenno ai mari che bagnano il Belpaese non basta però da solo per battere Svezia e Olanda. Nella cooperazione allo sviluppo Stoccolma investe oltre l’1% del Pil, un miraggio rispetto allo 0,21% speso da Roma nel 2015 (l’anno prima era lo 0,19). “Non danno soldati ma danno soldoni”, ricorda al Foglio Francesco Paolo Fulci, ambasciatore italiano all’Onu dal 1993 al 1999. Partecipando a 26 missioni dei caschi blu, l’Italia dal canto suo mette sul piatto un notevole contributo di sangue, di uomini e di mezzi. “Non c’è paragone con gli altri due paesi”, aggiunge Fulci, ricordando che il collega Skoog “è libero di vederla come crede, ma anche questo è un criterio fissato nella Carta dell’Onu”. Qua i numeri sono dalla parte di Roma: fra i candidati europei l’Italia è il più grande per popolazione, economia, partecipazione alle missioni (1.150 effettivi all’estero nel quadro Onu, 6 mila con la Nato e le altre coalizioni); l’Italia è poi nel gruppo di contatto sulla Siria e protagonista dei negoziati sulla Libia.

 


L'ex ambasciatore italiano all'Onu, Francesco Paolo Fulci (foto LaPresse)


 

La politica umanitaria è un altro punto di forza: le immagini dei salvataggi in mare da parte delle motovedette italiane arrivano anche nei paesi in via di sviluppo da dove partono i migranti. “Sono gli stati più numerosi in Assemblea e sono molto sensibili all’approccio del governo italiano”, spiega Fulci. Al netto della retorica ‘italiani brava gente’, il rapporto umano conta ancora molto al Palazzo di vetro e molti ambasciatori hanno carta bianca al momento del voto. In generale i diplomatici italiani sono apprezzati perché, a differenza di quelli nordeuropei, sanno mediare in scioltezza fra il mondo occidentale e, a turno, quello africano, arabo o in via di sviluppo. “Più volte ai miei tempi il CdS chiese l’invio dei carabinieri in teatri di crisi, proprio per la loro capacità di coniugare efficienza e umanità”, rammenta Fulci.

 

“Le elezioni del CdS si vincono a New York”, insiste, “e io vi giunsi in un periodo di grossi tagli alla cooperazione”. Con umiltà Fulci batté alla porta degli allora 181 colleghi, partendo dai più piccoli, come Nauru, il cui voto in Assemblea pesa come quello della Cina popolare. C’è chi lo rimproverò perché l’Italia aveva lasciato ponti e viadotti a metà o addirittura aveva esportato la corruzione. Tutti riconobbero però che Roma ha sempre trattato da pari anche i paesi più poveri. “Nel darci i soldi voi ci avete sempre guardato negli occhi”, continua Fulci ricordando anche come sa di sale lo pane altrui. “E poiché il rispetto della dignità altrui non ha prezzo, entrammo in Consiglio con quattro voti in più della Germania”. Durante il suo mandato l’ambasciatore non strappò solo il seggio in CdS: assieme al suo portavoce di allora, Sebastiano Cardi, “vincemmo 27 elezioni su 28”. A giorni la storia si ripete: “E oggi Cardi conosce la ricetta per vincere”.