E ora che ne sarà di Gibilterra?

Silvia Ragusa

La vittoria della Brexit e i dubbi sul futuro dell’enclave britannico nella penisola iberica (dove il remain ha stravinto con l’84 per cento). In gioco ci sono i privilegi fiscali dei suoi abitanti e la fine di Shengen.

Sono stati solo venti minuti: lunedì scorso la bandiera spagnola ondeggiava sul Peñon (così come chiamano The Rock a Madrid). Diversi membri del partito di ultradestra Vox l’avevano srotolata (200 metri quadri per 18 di lunghezza) sulla Rocca di Gibilterra. “Missione compiuta”, esclamava il segretario del partito Santiago Abascal. A sapere come sarebbero andate a finire le cose, chissà, la Royal Police avrebbe potuto pure lasciarla sventolare un altro po’: “La bandiera spagnola sul Peñon è sempre più vicina”, afferma a mo’ di minaccia il ministro degli Esteri spagnolo José Manuel García-Margallo.  A sud dell’Andalusia, tra i sudditi di sua maestà Elisabetta, la notizia della vittoria della Brexit è arrivata come una doccia fredda. Qui l’europeismo si è imposto con il 96 per cento in favore della permanenza nell’Ue e una partecipazione straordinaria: l’84 per cento dei quasi 23mila gibilterrini con diritto al voto ha fatto sentire la propria voce alle urne: ramain. Solo 800 hanno votato per il leave.  Certo, l’accento parlato da queste parti è quello a metà tra l’andaluso e il british.

 

Eppure the queen is the queen ripetono alla Línea de la Concepción, il piccolo comune sulla linea di confine tra la Spagna e l’enclave inglese. Il sindaco Juan Franco, un giovane militante della lista civica La Línea 100x100, si dice “parecchio preoccupato” visto che “lo scenario che si apre è pieno d’incertezza e le prospettive, a priori, sono poco promettenti”. Pare che, appena sveglio, abbia preso in mano il cellulare per chiamare dall’altra parte della frontiera: una conversazione di pochi minuti con il primo ministro Fabian Picardo per organizzare a breve “un cara a cara (faccia a faccia, ndr)” e buttar giù in fretta una strategia comune, non prima di aver invocato l’unità di tutte le forze politiche della sua giunta “per vedere come poter superare la questione”. Il problema però è che non c’è il terzo interlocutore. Bisogna aspettare il voto spagnolo di domenica. E soprattutto capire se, e quando, saranno ricostituite las Cortes di Madrid e al palazzo della Moncloa siederà qualcuno che non porti in dote il suffisso ad interim. “Serve un piano B perché le conseguenze possono essere gravi per gli spagnoli che lavorano a Gibilterra e per le piccole e medie imprese che dipendono dal commercio del Peñon”, aggiunge Juan Franco.

 

Anche se non fa parte dell’area Schengen, questo scampolo di impero britannico gode della libera circolazione di cose e persone - previo passaggio alla dogana -  cruciale nel Campo di Gibilterra; i suoi abitanti, inoltre, vantano un regime fiscale vantaggioso che prevede l’esenzione dall’Iva: altre ragioni valide per appoggiare il remain in questo piccolo paradiso fiscale. Franco calcola che ogni giorno circa 7mila persone attraversano la linea di frontiera. Dipendenti alla Rocca, residenti alla Línea. Il governo di Gibilterra ne stima 13.500, una cifra, magari gonfiata, che prova comunque il legame dei lavoratori nella zona del Campo di Gibilterra (composto da Algeciras, Los Barrios, La Línea e San Soque) con gli imprenditori del Peñon. E questo nonostante i pessimi rapporti tra Londra e Madrid. Il consolato spagnolo, per dire, qui ha chiuso i battenti il 30 aprile del 1954, come protesta per la visita della regina Elisabetta II. Ma i problemi dell’enclave britannica cominciano fin dalla settecentesca guerra di Successione e col suggello del Trattato di Utrecht. Nonostante i tentativi per mano iberica, da trecento anni la volontà degli abitanti rimane saldamente britannica. Ma adesso che la colonia inglese non fa più parte del mercato unico, torna al centro della scena il processo di sovranità congiunta, nonostante l’opzione sia stata rifiutata dai gibilterrini nel referendum del 2012. La Spagna insomma non molla. “[Gibilterra è] spagnola, sia che vinca sia che perda la Brexit”, diceva il premier facente funzioni Mariano Rajoy, dopo la visita lampo di David Cameron. Quel giorno non solo la bandiera spagnola non sventolava sulla cima della Rocca, ma il remain sembrava pure cosa scontata.