Barack Obama durante la sua visita venerdì a Orlando (foto LaPresse)

Minimalista e multilaterale

Da Orlando a Falluja, la fragile strategia di Obama messa alla prova

La (parziale) riconquista della città di Is ha un lato oscuro. Un gruppo di diplomatici chiede di attaccare Assad.

New York. Ieri l’esercito iracheno ha riconquistato il principale edificio governativo di Falluja, e i militari sono penetrati nella zona controllata dallo Stato islamico incontrando una minima resistenza dei soldati del Califfato, che presidiavano l’area con cecchini e un sistema di tunnel che permetteva di muovere liberamente uomini, armi e merci. Ora i miliziani di al Baghdadi si sono rifugiati nella parte orientale della città, consentendo a migliaia di civili che venivano tenuti come scudi umani di fuggire. “Lo Stato islamico ha perso la capacità di difendere Falluja. Le sue linee difensive sono collassate e la battaglia di Falluja sarà finita in pochissimo tempo”, ha detto il comandante della polizia della provincia di Anbar.

 

Come tutti i progressi nella guerra allo Stato islamico, anche quello di Falluja va ingerito assieme ad ampie dosi di cautela, e solo il tempo potrà dire se la penetrazione nella città a una sessantina di chilometri da Baghdad è parte di una più articolata manovra di avanzamento e riconquista. Il problema, come sempre, è la strategia, e a Washington ci sono turbolenze su diversi fronti a proposito dell’approccio minimalista e multilaterale promosso da Barack Obama in questi anni per sconfiggere il Califfato. Il presidente è certamente ansioso di presentare la vittoria di Falluja come prova dell’efficacia dell’impianto strategico nell’area, ma deve affrontare l’opposizione di oltre cinquanta diplomatici, critici nei confronti dell’approccio americano in Siria. Gli ambasciatori chiedono di colpire l’esercito di Bashar el Assad, che ha violato i termini di un cessate il fuoco negoziato lo scorso inverno e mai entrato di fatto in vigore.

 

Quello che serve è un “ragionato ricorso alle armi aeree, che assicurerà un più deciso processo diplomatico guidato dagli Stati Uniti”, si legge in un documento critico nei confronti di Obama distribuito attraverso il canale diplomatico che permette di esprimere opinioni dissenzienti senza subire conseguenze. I bombardamenti del regime sul popolo siriano sono la “causa principale dell’instabilità della regione”, si legge nel documento. Le critiche non sono nuove a Foggy Bottom. L’ex ambasciatore americano in Siria, Robert Ford, si è dimesso a causa delle divergenze con la linea ufficiale  e lo stesso segretario di stato, John Kerry, è stato in passato un avvocato di una politica dura nei confronti di Assad. La disputa interna, com’è noto, è stata vinta da Obama, appoggiato dal suo inner circle alla Casa Bianca e dal Pentagono, che mette in guardia il presidente dagli enormi rischi di un’operazione militare su larga scala contro un regime che, grazie all’appoggio di Russia e Iran, rimane saldamente aggrappato al potere.

 

La priorità, ha chiarito Obama, è la lotta allo Stato islamico, anche a costo di finire in un’alleanza tattica con Assad, Putin e gli ayatollah. Con la lettera dei cinquantuno diplomatici una nuova ondata di dissenso interno prende corpo, peraltro nei giorni in cui l’esercito russo sta bombardando, nel sud della Siria, gruppi di ribelli foraggiati dagli Stati Uniti. C’è infine una terza dimensione del conflitto che toglie il sonno a Obama, quella messa in luce dalla strage di Orlando, dove ogni nuovo elemento, dalle promesse di “vendetta” dello Stato islamico postate su Facebook agli sms scambiati da Omar Mateen e la moglie durante l’assedio del Pulse, confermano ulteriormente la pista della radicalizzazione islamista ispirata “a distanza” dal Califfato. Giovedì il capo della Cia, John Brennan, ha detto che “nonostante tutti i progressi contro lo Stato islamico sul campo di battaglia e nel settore finanziario, i nostri sforzi non hanno ridotto le capacità del gruppo terroristico a livello globale”.

 

Riferendo al Congresso, Brennan ha spiegato che secondo l’agenzia esiste un rapporto di proporzionalità inversa fra i progressi sul terreno e gli attentati dei cosiddetti “lupi solitari”. All’avanzare delle truppe in Iraq e Siria corrisponde un intensificarsi della propaganda per colpire gli infedeli in occidente: “Con il crescere della pressione sullo Stato islamico, crediamo che il gruppo intensificherà la sua campagna globale per mantenere il dominio dell’agenda terroristica”.