Un manifesto per la campagna contro la Brexit (fpto LaPresse)

In difesa dell'Europa

Mario Sechi
I Brexiters vanno a caccia di un Impero che fu e non c’è più, una cosa metafisica che noi italiani non possiamo immaginare. Le voci di chi tifa Brexit e poi dimentica la storia. Tutti peggioristi col debito pubblico degli altri.

Uno spettro si aggira per l’Europa: il peggiorismo. E’ diffuso in tutto il Vecchio continente, ne sono posseduti quelli che non hanno memoria, quelli che hanno dimenticato come e cosa (non) eravamo. Quelli che hanno acquistato la casa al tasso d’interesse più basso della storia economica, quelli che hanno quasi tutti (oltre l’80 per cento) la casa di proprietà, quelli che l’euro è la nostra rovina mentre vanno a letto in quell’abitazione che nel frattempo ha raddoppiato il suo valore, quelli che fanno parte di una nazione, l’Italia, che nel 1995 vantava una ricchezza netta delle famiglie pari a 4.180 miliardi di euro (correnti) e nel 2013 (sì, negli anni della grande crisi) è passata alla modica cifra di 8.730 miliardi, quelli che hanno oggetti di valore per un totale di 108 miliardi, quelli che sono proprietari di terreni che oggi valgono 206 miliardi e nel 1995 erano 57 miliardi, quelli che prima dell’euro avevano depositi bancari per 534 miliardi e toh!, oggi quei miliardi sono 714, quelli che il risparmio postale era pari a 106,9 miliardi e oggi sono 357,4 miliardi, quel popolo che nel 1995 investiva 252,9 miliardi in titoli di società di capitali e oggi, nonostante la crisi, la Borsa che va su e giù, sono là con un gruzzolo di oltre 645 miliardi, quelli che prima della moneta unica avevano 103 miliardi piazzati in fondi di investimento e oggi sono 376 miliardi, quelli che odiano le banche, i banchieri, questi filibustieri, queste istituzioni da chiudere e nel 1995 avevano contratto prestiti per 172 miliardi e oggi, con tutto il disprezzo possibile, ne hanno per 683 miliardi, quelli che il credito al consumo no, fa schifo perché è chiaro che sono tutti dei cravattari, ma sai poi c’è da acquistare il frigo bombato, lo smartphone, il viaggio nel resort all inclusive, ecco quelli avevano firmato impegni per 8,3 miliardi nel 1995 e poi nel 2013, poco dopo lo spread alle stelle, hanno continuato a vivere con 111 miliardi erogati a tassi rasoterra da restituire a quel cassiere che mi guarda torvo, deve avere sotto controllo il mio tenore di vita, si faccia gli affari suoi e sganci il contante, quelli che l’Ue ci costa troppo ma non sanno che viviamo nel blocco commerciale più grande del mondo e il maggior esportatore di merci (sì, più della Cina: il 15,4 per cento di tutte le esportazioni contro il 13,4 per cento), quelli che non sanno che solo il 6 per cento del bilancio dell’Ue (142) miliardi è destinato a coprire i costi dell’istituzione e tutto il resto torna indietro in investimenti, quelli che alzano l’indice ma che hanno archiviato l’Erasmus del figlio (1,5 miliardi), quelli che accendi il navigatore dell’auto, anvedi la tecnologia, ora ci dice qual è la strada per la casa della famiglia dei Biscotti Boriosi e non hanno idea dei miliardi investiti (1,3 nel 2014) per i sistemi satellitari Galileo e Egnos, quelli che usano i Fondi strutturali (38 miliardi) e fanno finta che piovano da Marte, quelli che gli 8 miliardi dei Fondi di coesione pensano che crescano sotto i cavoli, quelli che se domani spariscono i 43 miliardi del Fondo europeo per l’agricoltura chiudono l’azienda, quelli che toh! ci sono anche 13 miliardi per lo sviluppo rurale, proviamoci, quelli che vanno in mare a gettare le reti e aspettano pesci e fondi europei per la pesca (1 miliardo), quelli che è tutta colpa della Germania ma ignorano che il volume dell’interscambio bilaterale con l’Italia è pari a 103 miliardi di euro e che per fare la stessa cifra bisogna sommare l’interscambio di Regno Unito e Francia con Berlino.

 

E poi quelli che Dio strafulmini la Merkel e ignorano il fatto che i tedeschi, questi padroni dell’Europa che bisogna ripudiare e lasciare al suo destino, in Italia hanno investito in oltre 1.800 imprese, hanno creato 128 mila posti di lavoro e circa 58 miliardi di euro di fatturato, quelli che non hanno mai conversato con gli italiani che in Germania hanno creato oltre 2.100 aziende, 81 mila posti di lavoro e generato un fatturato di 48 miliardi, quelli che Mario Draghi ha lavorato a Goldman Sachs e la Bce è un luogo di cospiratori, sciagurati, la loro vita è attaccata al forziere di questo italiano di eccezionale tempra e intelligenza. Dicono: c’è la crisi. Perbacco, che scoperta. Soluzione? Facciamo un bel falò e viva la sovranità. Di grazia, quale sovranità? Quella che avevamo con la lira di cui George Soros fece strage nel 1992? Governava Giuliano Amato, la Banca d’Italia fu costretta a vendere 48 miliardi di dollari di riserve per riallineare il cambio della lira, la nostra moneta fu svalutata del 30 per cento e uscì dal sistema monetario europeo. Erano i tempi del prelievo forzoso del 6 per mille sui conti correnti. Che delizia. Rifacciamolo, dai. E’ successo il 9 e 10 luglio del 1992. Tutto dimenticato. Come la realtà di oggi. Il futuro si è spostato nel Pacifico, Adam Smith si è trasferito a Pechino e loro, i sacerdoti dello sfascio, tifano per la Brexit e dimenticano che gli inglesi vivono nell’isola d’Inghilterra, che c’è tempesta sulla manica e il Continente è isolato (storico titolo del Times di Londra), che hanno la regina e non per ornamento, che Westminster è grande arena di dibattito, che la sterlina è forte ma lo sarà meno per un bel po’, che a Londra c’è il più grande centro finanziario del mondo e a Hong Kong è ancora di casa, che tutti i ricchi del pianeta abitano a Kensington e non a Caronno Pertusella, che gli inglesi possono rischiare di fare da soli e farsi male, che hanno votato per David Cameron con un cartello di tagli, austerità e crescita, che dietro la scritta Exit c’è uno schiaffo in faccia a tutti noi, cultori del debito pubblico e del pressappoco.

 

I Brexiters vanno a caccia di un Impero che fu e non c’è più, una cosa metafisica che noi italiani non possiamo immaginare. Noi siamo europei, continentali atipici, agganciati al nord con le maestose alpi, distesi a sud con lo stivale immerso nel Mediterraneo, siamo la tappa finale del Grand Tour, siamo la cultura classica, una selva di nomi e storie che popola quello spazio meraviglioso che è l’Europa raccontata da George Steiner in un libro intitolato un’“Idea di Europa”, un viaggio che comincia nei caffè: “L’Europa è i suoi caffè. Dal locale di Lisbona amato da Fernando Pessoa ai cafès di Odessa frequentati dai gangster di Isaak Babel. Dai caffè di Copenaghen, quelli di fronte ai quali passeggiava Kierkegaard nel suo meditabondo girovagare, fino a quelli di Palermo”. Sì, questa è l’Europa, casa, il caffè “nella Milano di Stendhal, nella Venezia di Casanova, nella Parigi di Baudelaire”. La storia ci parla, sussurra, ricorda chi siamo: “Danton e Robespierre si incontrarono per l’ultima volta al Procope”. L’Europa (e la storia) siamo noi.