David Cameron durante il suo discorso al British museum (foto LaPresse)

La faccia triste dell'Inghilterra

Redazione
Parlare di Europa tira fuori il peggio da difensori e oppositori della Brexit. Il governo di Cameron ha fatto sapere di voler dare una svolta alla campagna referendaria, meno paura e più ottimismo. Poi ha finito per parlare soltanto di guerra.

Mancano quarantaquattro giorni al referendum britannico sulla Brexit, i sondaggi dicono che il “remain” è avanti rispetto al “leave” ma c’è generale sfiducia nei confronti dei sondaggi, i paesi europei iniziano a preoccuparsi perché si parla di contagio irreversibile in caso di Brexit (va di moda la Frexit, l’uscita della Francia, segue tra i recalcitranti l’Italia che pure ancora non ha un nome per la sua exit).

 

Il governo di Cameron ha fatto sapere nei giorni scorsi di voler dare una svolta alla campagna referendaria, meno paura e più ottimismo, così ha organizzato ieri un incontro che, nelle premesse, doveva parlare della pace e della stabilità europea come motivo decisivo per voler stare tutti assieme in Europa. Poi ha finito per parlare soltanto di guerra, del rischio che salti tutto, del fatto che la pace non è scontata nemmeno in Europa, se l’Inghilterra abbandona l’Ue tutti si sentiranno in diritto di difendere la propria indipendenza, i nazionalismi esploderanno e sarà una catastrofe.

 

Così nel pomeriggio di ieri è dovuto intervenire il ministro degli Esteri Hammond spiegando che le parole di Cameron erano state malinterpretate, che il premier ambiva a difendere un progetto di pace e stabilità di cui il Regno Unito è sempre stato artefice e garante, certo non far tornare in mente macerie e miseria dell’Europa in guerra. Ma ormai il danno era fatto, al punto che anche i difensori del “remain” si sono interrogati: c’era proprio bisogno? Se è questo che il governo intende quando parla di ottimismo, toccate ferro. Poiché la battaglia sulla Brexit è diventata una guerra civile interna al paese e internissima al Partito conservatore, subito Boris Johnson, ormai ex sindaco di Londra, è intervenuto per rispondere a Cameron, ponendo cinque domande al campo del “remain” e dicendo che l’Europa è la causa stessa, con la sua ossessione di integrazione a tutti i costi, dell’ascesa dei populismi sul continente e soprattutto della crisi in Ucraina. Il risultato è che si è preso di “difensore di Putin” da buona parte del Labour e anche da alcuni leader stranieri. Un disastro anche per lui. Così ieri si è trasformato nel giorno più brutto della campagna referendaria inglese, un giorno brutto anche per l’Europa.

Di più su questi argomenti: