Il presidente turco Recep Tayyip Erdogan (foto LaPresse)

Rime contro il sultano

Giulio Meotti
In risposta al processo al comico Böhmermann, lo Spectator indice un concorso di poesie ("più triviali e offensive possibile") su Erdogan.

Roma. “Lo scopo del concorso è quello di essere il più triviale e offensivo possibile nei confronti di Recep Erdogan”. Con queste parole l’editorialista dello Spectator Douglas Murray ha lanciato un concorso per premiare la poesia più offensiva nei confronti del presidente turco. L’iniziativa dello storico settimanale britannico è una risposta al “Satiragate” che in Germania costerà un processo al comico della tv pubblica, Jan Böhmermann, denunciato del presidente turco per aver letto una poesia satirica rivolta proprio a lui e che gli è già costata la sospensione del suo show sul canale televisivo Zdf. Jan Böhmermann, cui è dedicata la copertina dello Spiegel, non dà interviste, non risponde al telefono, è silente su Twitter e ha appena lasciato la sua casa di Kölner, protetto dalla polizia.

 


Jan Böhmermann


 

“Nessuno dovrebbe essere sorpreso dal fatto che il presidente turco Recep Tayyip Erdogan ha istituito leggi efficaci sulla blasfemia per difendersi dalle critiche in Turchia”, ha scritto Douglas Murray. “Ma molti di noi avevano pensato che queste leggi sulla lèse-majesté non sarebbero state messe in atto all’interno dell’Europa. Eppure, eccoci qui”. E ancora: “Stranamente, la cancelliera Angela Merkel sta fingendo che il processo a un comico tedesco in Germania per aver insultato un despota straniero sia un atto liberale. Il fatto stesso che un tale processo venga contemplato dimostra che la Germania sta diventando poco più della satrapia di Erdogan”.

 

Poi l’annuncio del concorso irriverente, in cui sono ammessi anche colpi sotto la cintura: “Beh, io sono un uomo britannico nato libero e non viviamo secondo le leggi sulla blasfemia di tali despoti. Quindi desidero espressamente invitare tutti i lettori a unirsi a me in questa grande competizione su Erdogan. Vorrei anche sottolineare che lo scopo del concorso è quello di essere il più offensivo possible su Recep Erdogan”. La poesia vincente sarà annunciata entro il 23 giugno. “Perché dopo non potremo annunciarla più”. Il riferimento è al referendum sulla Brexit: se questo fallisse, Cameron insisterebbe infatti con il suo desiderio di far entrare la Turchia nell’Ue.

 

Alcuni giorni fa, un rapporto del Pen Club ha fatto luce sulla repressione intellettuale sotto Erdogan: nel 2015, trenta giornalisti sono stati sbattuti in carcere, cento gli arrestati, mille gli ordini di censura varati contro la stampa. Un generoso lettore dello Spectator ha offerto un premio di mille sterline al vincitore del concorso poetico. “Volevo stare dalla parte della libertà di espressione e ricordare a tutti che possiamo e dobbiamo dire cosa vogliamo, specie su un capo di stato come Erdogan che mette in galera i giornalisti”, dice Douglas Murray al Foglio. “C’è un’atmosfera infamante e strana: parliamo tanto di libertà di parola ma non la esercitiamo più. E questa muore se non la usi. Io posso non essere d’accordo con Böhmermann, ma non è questo il punto. Come non è il punto se le vignette danesi non erano belle o se il libro di Rushdie non era il miglior romanzo del mondo. Dobbiamo difendere la libertà di dire e scrivere, difenderla da coloro che vogliono togliercela. Sì, stiamo perdendo la libertà di espressione in Europa, non solo per le minacce esterne, ma a causa anche di leader come Merkel”. Intanto, in Germania, il magazine satirico Titanic annuncia che nel prossimo numero sbeffeggerà altri capi di stato stranieri.  “E’ molto positivo che la posizione di Merkel sulla satira si avvicini a quello di Erdogan e di altri despoti di questo mondo”, ha scritto il direttore Tim Wolf con non poca ironia. “Abbiamo preso la decisione di insultare tutti i leader mondiali nel nostro prossimo numero, in modo che Erdogan non si senta speciale”. Persino il popolare tabloid conservatore Bild, vicino da sempre alla Cdu, ha accusato Angela Merkel di essersi “inginocchiata” ai piedi del sultano. Per dirla con il leader dei liberali al Parlamento europeo Guy Verhofstadt, “abbiamo già dato a Erdogan le chiavi delle porte dell’Europa, ora si corre il rischio di fargli controllare anche i nostri redattori e media. In una società libera deve essere possibile una poesia satirica. Questo è il prezzo che paghiamo volentieri per la nostra libertà”. Torna in auge una battuta che girava ai tempi della Germania dell’est. La differenza tra la democrazia e la democrazia popolare? La stessa che passa tra una camicia e una camicia di forza.

 

  • Giulio Meotti
  • Giulio Meotti è giornalista de «Il Foglio» dal 2003. È autore di numerosi libri, fra cui Non smetteremo di danzare. Le storie mai raccontate dei martiri di Israele (Premio Capalbio); Hanno ucciso Charlie Hebdo; La fine dell’Europa (Premio Capri); Israele. L’ultimo Stato europeo; Il suicidio della cultura occidentale; La tomba di Dio; Notre Dame brucia; L’Ultimo Papa d’Occidente? e L’Europa senza ebrei.