Militari per le strade di Kabul (foto LaPresse)

Il giorno della marmotta talebana

Redazione
Breaking news da Kabul: al Qaida e i talebani sono ancora tutti lì. E noi siamo rimasti incastrati in un paradosso temporale.

A mo’ di risposta alle assicurazioni di misteriosi interlocutori pachistani, che garantivano che i talebani sono pronti a negoziati con il governo centrale afghano per marciare assieme verso la pace, ieri quelli – i talebani – hanno assaltato la zona del ministero della Difesa a Kabul. Un furgone bomba piazzato vicino all’edificio della sicurezza, che però come accade sempre ha investito i civili: 28 morti almeno e centinaia di feriti. A seguire, un’ora di sparatoria da parte di aggressori travestiti con uniformi di soldati, un trucco irresistibile che avevamo sentito soltanto altre settecento volte. Viene in mente un servizio della Cnn di pochi giorni fa, 12 aprile, che spiegava che le relazioni tra i talebani e al Qaida sono sempre più forti e che al Qaida in Afghanistan sta crescendo molto più di quanto pensiamo.

 

Dove siamo rimasti incastrati, in qualche tipo di paradosso temporale? Che al Qaida si rafforza in Afghanistan e che collude con i talebani è un titolo buono per il 1999, con scadenza già stampigliata sul coperchio: settembre 2001. Invece siamo prigionieri di un asfissiante ricorso storico, siamo insabbiati, assuefatti, anche se alcune notizie hanno ancora il potere di farci sobbalzare: “I legami tra talebani e al Qaida sono sempre più forti”. Perché, quando si erano rotti? Avevano litigato? Chi era rimasto più offeso? Si sono poi rimessi assieme? Le fonti militari americane citate da Cnn dicono che loro pensavano che il numero di qaidisti in Afghanistan fosse tra 50 e 100, però poi hanno bombardato un campo militare che ne conteneva 150 e, mannaggia la miseria, c’è  da rivedere le stime. Quindici anni sono passati dall’invasione dell’Afghanistan dell’autunno 2001 e ogni anno assistiamo allo stesso soggetto: la campagna di primavera che parte con il botto contro i palazzi dei ministeri di Kabul, i subdoli mediatori pachistani che fanno capire che questa volta ci siamo, la pace è vicina, peccato per il furgone bomba che lancia un segnale sbagliato, gli esperti dell’intelligence che avvertono: “Occhio, al Qaida in Afghanistan va forte”. Quest’anno i talebani dedicano la loro campagna di primavera al Mullah Omar, che nel frattempo si è spento con serenità per una malattia. Due anni fa. La sua morte in segreto è stata l’unico brivido di tre lustri di guerra in cui nessuno riesce a menare un colpicino decisivo.

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