Migranti in cammino al confine tra Kosovo e Albania

Perché la politica della "porta chiusa" nei Balcani preoccupa l'Italia

Luca Gambardella
Non solo il Brennero. L'Austria favorisce la chiusura delle frontiere in tutta la penisola. I migranti, e tra di loro i possibili terroristi, battono nuove rotte, Kosovo in primis. Parla il comandante di KFOR, al margine dell'anteprima del docufilm prodotto con la collaborazione di Sky ed Esercito italiano

Roma. Al confine austriaco col Brennero, il cantiere per la costruzione di una barriera anti-migranti è già fermo. Da Lampedusa, l'Alto rappresentante della politica estera Ue, Federica Mogherini, spiega oggi che "non è alzando muri che si può gestire il fenomeno che li aggirerà o li abbatterà". In Austria, un gruppo di estrema destra fa irruzione in una sala dell'Università di Vienna dove è in corso uno spettacolo teatrale interpretato da migranti esibendo uno striscione con la scritta "Ipocriti! La nostra resistenza alla vostra decadenza" e lanciando sangue finto sugli spettatori. Ma la fortezza austriaca costruita con una paziente opera diplomatica con i principali paesi balcanici va oltre i proclami e le provocazioni. Lo scorso primo aprile, il governo austriaco ha convocato un vertice con i ministri della Difesa di Croazia, Slovenia, Ungheria, Repubblica Ceca, Slovacchia, Polonia, Serbia, Macedonia e Montenegro. Sul tavolo c'era la discussione di una cooperazione avanzata tra i rispettivi corpi di polizia e delle forze armate per il pattugliamento dei confini. "Nessun paese deve essere lasciato solo ad affrontare l'arrivo dei migranti", aveva commentato il ministro della Difesa austriaco Hans-Peter Doskozil. "Se una nazione chiede sostegno, vogliamo metterle a disposizione uno sforzo comune per aiutarla".

 

Il risultato, però, è che i migranti stanno trovando nuove rotte da seguire per raggiungere l'Europa. La costruzione di barriere tra Macedonia e Grecia, tra Bulgaria e Turchia e, più nord, tra Croazia, Ungheria e Serbia, contribuisce alla creazione di un collo di bottiglia che impone ai migranti che tentano di risalire la penisola balcanica di trovare nuove vie di fuga. Il passaggio occidentale, quello che passa dall'Albania e risale attraverso Kosovo, Montenegro e Bosnia, potrebbe mettere a rischio i benefici della strategia della "porta chiusa" intrapresa da Vienna, ha scritto sul quotidiano greco Kathimerini l'esperto Evangelos Venetis della Simon Fraser University di Vancouver. I migranti stanno battendo nuove vie tra Albania e Kosovo e potrebbero intraprendere la rotta adriatica verso l'Italia. La Macedonia sta concludendo la costruzione di un muro lungo 37 chilometri al confine con la Grecia costringendo i migranti a trovare nuove vie di transito. Tra queste, quelle che passano per il Kosovo, l'Albania e si dirigono in Serbia. La prima, in particolare, allarma i servizi segreti italiani (ne aveva scritto Cristina Giudici sul Foglio).

 

Questo mese l'agenzia europea per il controllo delle frontiere, Frontex, ha avvertito che i foreign fighters dello Stato islamico potrebbero mescolarsi alle migliaia di migranti che hanno intrapreso la via balcanica verso l'Europa. Il Kosovo è uno stato fragile, frammentato tra serbi e albanesi e separato dalla Serbia da linee di delimitazione amministrative piuttosto che da veri confini. Ciononostante, Belgrado ha margini di controllo sempre più ridotti nella gestione delle frontiere con la sua ex provincia meridionale. Nel paese è attiva la missione Nato denominata “KFOR”, a guida italiana. Il comandante, Generale di divisione dell'Esercito Guglielmo Luigi Miglietta, spiega al Foglio come il Kosovo stia diventando luogo di passaggio delle rotte dei migranti. "La chiusura della frontiera in Macedonia rende il paese una possibile via di transito", spiega a margine dell'anteprima di un documentario sul Kosovo girato in collaborazione con Sky ed Esercito italiano. Il docufilm "Nella Terra dei Merli", diretto da Andrea Bettinetti e prodotto da Michele Bongiorno, illustra con precisione il problema dei foreign fighters, oltre a fornire un quadro completo delle complessità storiche e sociali del fragile stato balcanico. Nel 2015, solo 70 tra siriani e iracheni hanno attraversato il confine per entrare in Kosovo, ma le cose potrebbero cambiare a breve. "Le nuove rotte dei migranti potrebbero puntare ora ad Albania e Kosovo per risalire la penisola fino a Serbia, Ungheria e quindi all'Austria".

 


Il Generale di divisione dell'Esercito Guglielmo Luigi Miglietta, comandante di KFOR


 

La frammentazione etnica, la disoccupazione che supera il 60 per cento e lo stallo politico favoriscono il proselitismo di imam integralisti soprattutto tra Pristina e Restelica, un villaggio che si trova fra i monti dell’Albania e della Macedonia. "Il governo kosovaro ha approvato di recente una legge che punisce severamente chi combatte in altri conflitti, con una pena che arriva a 15 anni di reclusione", spiega Miglietta. Tra i compiti della missione Nato non ne esiste uno specifico in chiave antiterrorismo, ma in qualità di forza internazionale dislocata sul territorio KFOR conduce attività di monitoraggio. I numeri forniti dal ministero dell'Interno di Pristina dicono che in totale 300 kosovari hanno viaggiato tra Siria e Iraq (il Kosovo è il paese che in Europa, in rapporto alla popolazione, ha fornito il più alto numero di combattenti); 70 di questi sono attualmente arruolati tra le fila di al Nusra, l'ala siriana di al Qaida; secondo la polizia kosovara 36 donne hanno lasciato il paese per recarsi nei territori controllati dal Califfato; per il Centro studi sulla Sicurezza di Pristina 60 kosovari sono stati uccisi in combattimento in medio oriente e si stima che i combattenti rientrati in patria siano 130.

 

La politica della porta chiusa favorita da Vienna nei Balcani, insomma, preoccupa molto l'Italia, perché rischia di riversare centinaia di potenziali combattenti radicalizzati lungo la rotta adriatica. Il premier Matteo Renzi oggi ha messo in guardia l'Austria, dicendosi "fiducioso che nessun paese europeo violerà le regole" di Schengen. "Ma noi – ha aggiunto – non staremo a far finta di niente se qualcuno avrà intenzione" di procedere in questa direzione".

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  • Luca Gambardella
  • Sono nato a Latina nel 1985. Sangue siciliano. Per dimenticare Littoria sono fuggito a Venezia per giocare a fare il marinaio alla scuola militare "Morosini". Laurea in Scienze internazionali e diplomatiche a Gorizia. Ho vissuto a Damasco per studiare arabo. Nel 2012 sono andato in Egitto e ho iniziato a scrivere di Medio Oriente e immigrazione come freelance. Dal 2014 lavoro al Foglio.