Proteste a Downign Street contro Cameron in seguito allo scandalo dei Panama papers

Cameron e i Panama papers. Come si può sopravvivere oggi all'èra dei leak

Luciano Capone
Per un errore di comunicazione, uno scandalo può travolgere non solo la carriera di un leader politico, ma anche il suo governo. Riflessioni di Damiano Palano, docente di Filosofia politica, e Massimiliano Panarari, esperto di comunicazione.

Roma. Non era una “questione privata”. Alla fine, dopo le domande incalzanti della stampa, le accuse dell’opposizione e le proteste dell’opinione pubblica, dopo aver cambiato posizione e versioni, il premier britannico David Cameron ha dovuto parlare alla Camera dei Comuni della vicenda Panama papers e delle sue quote nel fondo offshore del padre scomparso. “Tutto è stato registrato, tutto era scritto e sono state pagate tutte le tasse annuali – ha detto Cameron nella sua difesa – Il fondo era off-shore perché aveva senso in una zona in cui si commerciava in dollari”. Il leader dei Tory ha anche respinto le accuse “offensive e profondamente false” rivolte al padre e dichiarato di aver venduto tutte le quote prima di diventare primo ministro per evitare un conflitto d’interessi. In altri tempi il polverone mediatico si sarebbe posato dopo poche ore: Ian Cameron aveva quel fondo per lavoro, né lui né il figlio hanno violato alcuna legge e su quelle 30 mila sterline David Cameron non ha evaso tasse.

 


L'intervento di Cameron in Parlamento sulla vicenda dei Panama Papers


 

Invece questo scandalo rischia di travolgere non solo la carriera di un leader politico, ma anche il suo governo, con un impatto discreto sul referendum sulla Brexit. Non poco per quello che è essenzialmente un errore di comunicazione, o meglio, una pessima gestione di una crisi politica che poteva essere risolta rendendo pubbliche tutte le informazioni sin dall’inizio. “Il modo migliore per spegnere  questi scandali è dire tutto e subito, per evitare di essere scoperti dopo e fare la figura di voler nascondere qualcosa – dice Damiano Palano, docente di Filosofia politica alla Cattolica di Milano – Ma la trasparenza totale non rende invincibili. Nella politica contemporanea l’attenzione della magistratura e dell’informazione sono poco razionali e spesso si concentrano su dettagli della vita privata che sono marginali ed è inevitabile che qualsiasi leader risulti fragile. E’ il prezzo che si paga alla personalizzazione della politica: è impossibile essere allo stesso tempo un leader invisibile e un brand, perché ogni persona con le sue fragilità viene consumata nel grande pasto quotidiano della comunicazione”.

 

Nell’epoca dello streaming, degli scontrini, dei leak e delle intercettazioni, l’opinione pubblica pensa di avere un maggiore controllo sulla classe dirigente, “ma la trasparenza assoluta non è possibile – dice Palano – anche perché nella politica c’è un elemento di finzione che non può essere rimosso e di cui anche la rappresentazione della trasparenza fa parte. Con il calo di rilevanza delle identità e delle ideologie si è fatta avanti la tendenza alla moralizzazione della politica, cioè l’abitudine a usare la condotta morale come unico criterio per valutare un leader”.  I Panama papers hanno mostrato però che questa tendenza è forte solo nelle democrazie occidentali, dove un piccolo scandalo fa traballare un governo, mentre le autocrazie, dove in ballo ci sono cifre e fatti molto più consistenti, non vengono affatto scalfite. E’ un bene o un male? “Negli ultimi 20 anni è aumentato il peso della contro-democrazia, come la chiama Pierre Rosanvallon, che è il potere di vigilare sugli eletti in capo alla stampa, alla magistratura e all’opinione pubblica. Ma questo potere è cresciuto talmente tanto da erodere la legittimazione degli eletti ed è un problema quando il flusso di comunicazione non riesce a distinguere le notizie importanti dal gossip”.

 

Secondo Massimiliano Panarari, esperto di comunicazione della Luiss, sono evidenti segnali di una “crisi di rappresentatività delle democrazie occidentali, che le fa precipitare in una campagna elettorale permanente”. Un aumento della conflittualità che però non riguarda i grandi temi ma i piccoli scandali personali: “Da un lato il mondo e il potere diventano sempre più complessi e impersonali, dall’altro la lotta si concentra sulle cose semplici che si vedono: la casa, gli scontrini o l’evasione dei politici”. In questo senso, molto più che avere risposte sui grandi problemi inafferrabili per l’opinione pubblica, per un politico diventa essenziale saper raccontare tutto di sé, “perché l’autorappresentazione della trasparenza è uno strumento per costruire consenso. L’errore più grande che si possa fare in questi casi è cambiare strategia e dare risposte contraddittorie”. Se n’è accorto anche Cameron, insieme al fatto che non esistono più “questioni private”.

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  • Luciano Capone
  • Cresciuto in Irpinia, a Savignano. Studi a Milano, Università Cattolica. Liberista per formazione, giornalista per deformazione. Al Foglio prima come lettore, poi collaboratore, infine redattore. Mi occupo principalmente di economia, ma anche di politica, inchieste, cultura, varie ed eventuali