L'occidente ignavo ha già ucciso Asia Bibi

Redazione
Sono terminate dopo tre giorni le manifestazioni in Pakistan per chiedere, davanti al Parlamento di Islamabad, l’immediata esecuzione di Asia Bibi, la donna cristiana accusata di blasfemia e in carcere da sette anni.

Sono terminate dopo tre giorni le manifestazioni in Pakistan per chiedere, davanti al Parlamento di Islamabad, l’immediata esecuzione di Asia Bibi, la donna cristiana accusata di blasfemia e in carcere da sette anni. Per la sua liberazione si era speso anche Salmaan Taseer, l’ex governatore del Punjab assassinato dal fondamentalista Mumtaz Qadri, poi impiccato in seguito a una decisione della Corte suprema che aveva ribaltato una clamorosa assoluzione nel giudizio d’appello. L’imam della più grande moschea di Peshawar ha offerto una ricompensa per chi la assassinerà. Intervistato dalla Radio Vaticana, il presidente dell’Azione cattolica, Matteo Truffelli, ha sottolineato come tale legge – per l’abolizione della quale è attiva una petizione internazionale – “fu modificata negli anni Ottanta proprio in chiave, esclusivamente, di tutela dell’islamismo. Asia Bibi è accusata ingiustamente e tenuta in prigione solo perché non accetta di piegarsi alla violenza di questa legge”.

 

Nelle scorse settimane, la chiesa cattolica pakistana aveva esortato i fedeli locali (poco meno del 2 per cento della popolazione totale) a perorare pacificamente la causa della donna detenuta in carcere dal 19 giugno 2009. Qualche corteo silenzioso, sorvegliato a vista dalla polizia, aveva percorso qualche strada nelle città più grandi del paese. Tre anni fa, la folla inferocita aveva messo a ferro e fuoco un villaggio abitato da cristiani, l’insediamento di Joseph Colony. Il motivo? Vi abitava un giovane accusato di blasfemia. I colpevoli sono ancora in libertà. Nel frattempo, anche il Parlamento europeo ha preso posizione sulla vicenda di Asia Bibi. Il primo vicepresidente, l’italiano Antonio Tajani (Ppe), ha presentato un’interrogazione scritta all’Alto rappresentante per la Politica estera comunitaria, Federica Mogherini, in cui chiede che l’Unione europea “agisca subito per scongiurare l’esecuzione di Asia Bibi”. Tajani chiede inoltre “in che modo e attraverso quali misure politiche e diplomatiche il servizio europeo per l’azione esterna si sta adoperando per evitare l’esecuzione di Asia Bibi e se sono previste iniziative volte a promuovere la libertà di espressione e di religione in Pakistan, condannando ogni legge che limiti tale diritto”.

 

Questa donna cristiana, accusata di   “blasfemia”, rischia ogni giorno la vita, anche senza il patibolo. I musulmani fanatici la vogliono morta. “Dieci milioni di pachistani sarebbero pronti a uccidermi con le loro mani” ha raccontato Asia in un libro uscito qualche anno fa, “Blasfema” (Mondadori). L’8 novembre 2010, dopo cinque minuti di camera di consiglio, la sentenza si abbatte sulla donna: impiccagione. La folla esulta. “Allahu akbar!”, si intona fuori dal tribunale. I poliziotti la trascinano via, mentre una massa di islamisti stava per assaltare l’aula e fare “giustizia” con le proprie mani. Da allora, Asia Bibi vive in un limbo. E anche il cibo che le viene somministrato è controllato. Per evitare rischi di avvelenamento. Vive in una cella umida e fredda, così piccola che stendendo le braccia Asia Bibi può toccarne le pareti. Asia ha pensato al suicidio. Forse così potrebbe salvare i suoi figli. Le piazze europee qualche anno fa si riempirono per Sakineh, “l’adultera” iraniana condannata a morte tramite lapidazione. Su Asia Bibi, una normalissima madre di famiglia condannata a morte soltanto perché cristiana, al più c’è un sopracciglio di sussiego o qualche editoriale di giornale ben nascosto. Schiere di  vescovi italiani, anziché organizzare sit-in per una donna che rischia la forca per la sua fedeltà a Cristo in un paese che insegna ai bambini che i cristiani contaminano l’acqua dei pozzi, annunciano manifestazioni (con annesso digiuno) in piazza San Pietro contro le trivelle, perché “la terra è di tutti”. L’ignavia dell’occidente l’ha già condannata a morte.

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