Il primo ministro turco Ahmet Davutoglu (foto LaPresse)

Perché l'accordo tra Ue e Turchia sui migranti così non può funzionare

Alfredo Mantovano

Alla Grecia è stato addossato un compito impossibile, e non a caso da subito ha iniziato a chiedere tempo. L’accordo non troverà attuazione; se non probabilmente per i miliardi di euro da corrispondere alla Turchia in cambio di maglie più strette verso l’Europa. Ankara ha già mostrato di saper di mettere in ginocchio l’intera Ue.

 

Chissà se la Corte europea dei diritti si occuperà dell’intesa sui migranti raggiunta venerdì scorso a Bruxelles. Per molto meno il 23 febbraio 2012 censurò l’Italia per l’accordo con la Libia di tre anni prima: nella primavera 2009, mentre quest’ultimo veniva definito, l’Ue si disinteressava degli sforzi italiani nel Canale di Sicilia e i barconi si rovesciavano nel Mediterraneo provocando centinaia di morti. Quell’accordo, finché fu rispettato da parte libica e da parte italiana, raggiunse un primo importante risultato: salvare migliaia di vite umane. Doveva costituire il punto di partenza per aprire sul territorio libico centri di accoglienza realizzati dall’Europa con parametri europei, e per operare lì un vaglio della fondatezza delle domande di asilo. Non se ne fece nulla se non prendersela con l’Italia per i “respingimenti”. A distanza di sette anni, in un contesto completamente diverso, con una quantità e qualità di persone in fuga da persecuzioni e da guerre incomparabile col passato, l’Ue raggiunge con la Turchia un’intesa che, nel momento in cui fosse pienamente realizzata, farebbe riconsiderare in positivo quella dell’Italia con Gheddafi.

 

Ma non verrà realizzata. Alla Grecia è stato addossato un compito impossibile, e non a caso da subito ha iniziato a chiedere tempo. Da domenica scorsa avrebbe dovuto rimandare in Turchia tutti i migranti che giungono sul proprio territorio e che non hanno titolo a ottenere l’asilo o la protezione umanitaria. Il che presuppone il vaglio di tutte le richieste di riconoscimento dello status di rifugiati finora proposte. E chi lo opera? In Italia esistono Commissioni, fra i cui componenti vi è sempre un rappresentante dell’UNHCR, che eseguono una istruttoria approfondita; pare che la Grecia intenda provvedere con singoli funzionari, ciascuno dei quali interpellerà il singolo migrante. E’ evidente che la garanzia della serietà della verifica appare tenue: l’Alto Commissariato Onu per i rifugiati ha qualcosa da dire? Nonostante i tempi più ridotti delle interviste individuali rispetto a una seduta di Commissione, il numero di migranti presenti oggi in Grecia è comunque tale che per provvedervi servono migliaia di funzionari: Atene è attrezzata? L’Ue manderà rinforzi? Francia e Germania avrebbero assicurato l’invio ciascuna di 100 esperti in asilo: poco più che nulla rispetto al lavoro da svolgere. E gli interpreti? Pensiamo che chi fugge da Mosul o da Homs parli bene il greco, o il francese o il tedesco? E le risorse per remunerare interpreti e funzionari? Gli euro sembrano indirizzati solo verso la Turchia.

 

Organizzare il lavoro, ammesso che se ne trovino le risorse, e le audizioni – sia pure in forma semplificata – richiede poi del tempo: chi attende il turno della sua “intervista” dove sarà collocato? Non si ha notizia che nel vertice di venerdì il tema sia stato affrontato. Ancora: la tutela dell’asilo – fondata su norme internazionali ed europee non derogabili – prevede in caso di rigetto l’impugnazione all’autorità giudiziaria. Se già la predisposizione di quanto necessario all’esame dell’istanza appare vaga, quest’aspetto non è neanche preso in considerazione. Eppure non è un dettaglio: riaccompagnamenti in Turchia eseguiti senza aver permesso il ricorso giudiziario porrebbero fuori dal sistema sull’asilo; d’altra parte, l’attesa della pronuncia del giudice, con inevitabile allungamento della permanenza in Grecia, accentua l’esigenza di incrementare le strutture di accoglienza.

 

Immaginiamo per un momento che i problemi fin qui elencati si risolvano rapidamente: che nel giro di pochi giorni migliaia di funzionari, assistiti da personale di segreteria e di interpreti – altrettante migliaia – ascoltino uno per uno i migranti presenti sul territorio ellenico, a loro volta alloggiati in modo decoroso, e che al tempo stesso migliaia di giudici (presi non si sa da dove), con cancellieri e interpreti al seguito (idem), evadano in poche battute centinaia di migliaia di domande di asilo. Crediamo davvero che verrà respinta una percentuale consistente di istanze? La gran parte di coloro che giungono in Grecia sono siriani, dietro di loro ci sono iracheni e afgani: la maggioranza di loro ha titolo, se non allo status di profugo, per lo meno alla protezione umanitaria. Questo vuol dire che sarà destinata a tornare in Turchia solo una fetta esigua dei migranti oggi presenti in Grecia; e quindi che non 72.000 persone (il tetto di profughi che a parole i 28 Stati dell’Ue sarebbero disponibili a ripartirsi), ma molte di più avrebbero diritto a entrare legalmente nell’Ue: crisi di nervi all’orizzonte da Lisbona a Varsavia. Quanto a coloro le cui domande saranno respinte, in che modo avverrà il loro rientro in Turchia? I vertici dell’Ue, i capi di governo degli Stati membri, e da ultimo il premier ellenico Tsipras sono pronti alle scene di donne e bambini caricati con la forza su autobus e traghetti, e alle violenze che tutto ciò scatenerà?

 

Per concludere. L’accordo non troverà attuazione; se non probabilmente per i miliardi di euro da corrispondere alla Turchia in cambio di maglie più strette verso l’Europa. Ankara ha già mostrato di saper di mettere in ginocchio l’intera Ue quando la scorsa estate ha permesso che il proprio territorio fosse lasciato da 300.000 migranti in direzione Europa. Ne ha al proprio interno altri 2,7 milioni: è un argomento più che sufficiente per battere cassa a scadenze periodiche. Bruxelles riesce nel capolavoro di bloccare nel fango di Idomeni o nei contenitori metallici di Patrasso siriani che hanno perso familiari e beni sotto le bombe o di fronte all’avanzare dell’IS, di inventarsi di tutto pur di non farli entrare in altri Stati dell’Ue, e di lasciare tranquillo per quattro mesi a Molenbeek uno degli attentatori di Parigi perché dalle 23 alle 5 non si possono fare perquisizioni: neanche per catturare l’assassino di decine di innocenti. Ma di questo la Corte Edu non si impiccia. E con essa, nonostante i ripetuti vertici, neanche l’Ue.  

 

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